Caso Bardonecchia: una conseguenza delle politiche antisolidaristiche

 

41931fd3-aaec-4da2-b9dd-9557bcd6980f.JPGLa gendarmeria francese ha mostrato i muscoli in uno spazio di diritto. La sacralità di un presidio sanitario è stata violata in nome di un presunto sospetto nei confronti di un cittadino nigeriano in viaggio da Parigi a Napoli. Il rispetto nei confronti del personale dell’organizzazione non governativa Rainbows4Africa –  impegnato a mantenere alta l’asticella della tutela dei diritti umani e a umanizzare le rotte migratorie rese disumane dalle politiche europee – è mancato in nome di un accordo di cooperazione transfrontaliera del 1990. Il ministro Minniti si indigna e sospende tale accordo; il ministro Alfano convoca la diplomazia francese; le autorità transalpine iscrivono il proprio agire nell’attuale contesto di negazione di un’Europa accogliente. L’Italia si sente ferita nell’orgoglio quando a mostrare il pugno duro con i migranti non sono le proprie autorità bensì quelle francesi. Uno schiaffo che ci auguriamo risvegli nei nostri ministri – che adesso si dicono indignati –  il senso di appartenenza a un’Europa dei diritti. Un fatto, l’irruzione di Bardonecchia, che palesa il perseverare di un atteggiamento ostile nei confronti di coloro che operano nella tutela dei diritti e nell’accoglienza di chi cerca protezione. Così la procura di Torino apre un fascicolo contro ignoti per abuso e violenza privata a causa dell’irruzione della gendarmeria francese a Bardonecchia e, contemporaneamente, a Catania la procura lo ha aperto contro il comandante della nave della Ong spagnola ProActiva Open Arms, Marc Reig, e la capo missione, Ana Isabel Montes Mier, perché accusati di immigrazione clandestina e associazione per delinquere: una schizofrenia alla quale l’Italia deve porre termine riconoscendosi nei principi dell’accoglienza e dei diritti. Stessa aria, se non più fredda, tira nella Francia della libertà, uguaglianza e solidarietà. Alle violazioni del diritto internazionale, europeo e francese al confine franco italiano si aggiungono le intimidazioni verso coloro che cercano di proteggere i diritti umani. Numerosi i delitti di solidarietà contestati a liberi cittadini che hanno cercato di proteggere migranti e rifugiati. A gennaio del 2018, un’attivista di Amnesty International – Martine Landry – è stata ascoltata dal Tribunale penale di Nizza perché accusata di «avere facilitato l’ingresso di due minori stranieri irregolari […], avendoli presi in carico e accompagnati dalla frontiera italiana al valico di frontiera francese» o, in ultimo, Benoît Duclos, guida alpina che ha soccorso nella neve alta una donna nigeriana incinta di 8 mesi viene indagato per traffico di esseri umani. Rischiano entrambi fino a 5 anni di carcere e fino a 30mila euro di multa. Se ci sono norme che prevedono tali reati non c’è da stupirsi di fronte a comportamenti arroganti e violenti delle polizie di frontiera. La storia racconta che le migrazioni non si fermano; la storia racconterà che la criminalizzazione non ha fermato la solidarietà.