Corridoi umanitari: la storia di Z., ragazza afgana bloccata in Iran

Z. è una delle 1200 persone afghane, prevalentemente donne, che si trovano da mesi bloccate in Iran e Pakistan, in attesa dell’attivazione dei corridoi umanitari per l’Italia che dovrebbero salvarle. Il motivo dichiarato di questa situazione di stallo, per il quale queste donne potrebbero da un momento all’altro essere ricondotte in Afghanistan dove rischiano la morte, è l’assenza di apparecchiature per il rilevamento delle impronte digitali nelle sedi diplomatiche italiane dei due paesi. Basta scuse: è urgente autorizzare le donne afghane all’ingresso in Italia per metterle in salvo, spostando il rilevamento delle impronte al loro arrivo nel nostro Paese. Leggi la storia di Z.:

Z., ragazza afghana, attualmente in Iran
Sono una ragazza come milioni di altre ragazze afghane, ma sono diversa. Meglio dire che non sono come le altre ragazze. Sono una lesbica ritenuta colpevole dagli altri. Ho nascosto questo segreto per anni perché avevo paura. Avevo paura perché il mio crimine è punito con la morte e potrei anche essere lapidata in un istante. Nessuno può capire quanto sia difficile e dolorosa la vita in questa situazione per una ragazza che vive in un Paese che considera le donne senza valore. Ho paura che la mia famiglia sia in pericolo a causa mia. Quando ho notato per la prima volta questa tendenza, ho pensato di avere un problema perché non ne ero a conoscenza. Perché vivevo in un Paese in cui tutto si svolgeva nell’ambito della religione e di rigide leggi religiose. La mia famiglia è stata a lungo sotto pressione perché non mi sposavo: ‘ E’ cresciuta e ora deve avere diversi figli’, ma io non volevo sposarmi perché non volevo uomini. Avevo sempre paura di quello che sarebbe successo se gli altri avessero capito. Anche in seguito, ho lasciato l’Islam abbandonandolo completamente, e questo per me significava apostasia dall’Islam e quindi la pena era la morte.
I Talebani erano spietati, venivano dall’inferno e davano fuoco a tutto. Vivevamo nella casa di mio zio a Kabul, nel quartiere Hazara. Una zona le cui strade sono da millenni sporche di sangue.


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