La sera del 9 novembre del 1989, un giovedì, iniziarono a filtrare le prime notizie da Berlino. All’epoca ero il caporedattore dell’Unità. Venne nel mio ufficio il capo del servizio Esteri, Nuccio Ciconte, mi disse che il nostro corrispondente dalla Germania, Paolo Soldini, aveva telefonato e aveva detto che era in corso una conferenza stampa, tenuta da un funzionario del governo: si annunciavano novità clamorose. Un’ora dopo si seppe che il governo della Germania comunista, seppure con alcune limitazioni, riapriva il varco tra le due Berlino. Durante la notte i giovani berlinesi abbatterono il muro a colpi di piccone. Quella sera finì il comunismo.

In Italia le conseguenze furono molto grandi. La caduta del muro fu un’ondata potente. L’Italia era il paese che aveva ospitato per mezzo secolo il più forte partito comunista d’Occidente, quello di Togliatti e Berlinguer, ma anche quello che teneva sotto la sua egemonia la letteratura, la poesia, il cinema, il teatro, e anche gran parte della filosofia, del diritto e delle scienze. Cosa resta, oggi, delle idee e dell’anima di quel partito? Niente direi. Tranne i rimasugli dello stalinismo che oggi si è trasformato in giustizialismo.