La Casa delle Donne non si sfratta

E' un luogo aperto ad associazioni, a singoli, a chi organizza spettacoli, a chi promuove convegni, a chi riceve le donne in difficoltà e tante altre cose, senza costare un euro di denaro pubblico

«La Casa apre le porte, il comune le chiude» stava scritto su un cartello alla manifestazione in difesa della Casa Internazionale delle donne. La sindaca Raggi naturalmente nega, sostenendo di voler rilanciare un progetto per le donne. Ma la proposta del Comune implica lo sfratto della Casa Internazionale delle Donne e la fine della sua esperienza. Ormai,  la raffica di sfratti, di ingiunzioni di pagamento che hanno raggiunto più di 800 associazioni romane ospitate in edifici di proprietà del comune non sono più soltanto la burocratica applicazione di una delibera che impone la c.d. ‘messa a reddito’ del patrimonio pubblico. Si qualifica ormai, dopo due anni di amministrazione a 5Stelle, come un tentativo di metter fine a tutte le esperienze di autogestione e di produzione dal basso di attività culturali e servizi ai cittadini. La Casa Internazionale delle Donne rappresenta, di questa politica, il caso più evidente. Le donne della Casa propongono il riconoscimento delle spese di manutenzione del Buon Pastore e il valore dei sevizi erogati per superare il problema del debito derivante da un canone irragionevolmente alto. La loro esperienza di gestione di un bene pubblico  oggi rappresenta un esempio di un bene comune affidato a una comunità che non solo se ne prende cura, ma lo rende produttivo di cultura, di politica, di solidarietà, di esperienze mutualistiche. Da queste esperienze sta nascendo il nuovo. Non può essere casuale che due premi  prestigiosi, l’Orso D’Oro  ai Fratelli Taviani per il film Cesare non deve morire e  la Palma D’oro a Marcello Fonte come miglior attore, siano stati attribuiti a persone e opere che nascono da luoghi occupati, dal Teatro Valle, al Cinema Palazzo Occupato, all’esperienza dei detenuti di Rebibbia. Ormai è cresciuta in Italia una presenza nuova che, contro la sordità di grande parte delle forze politiche, applica quotidianamente l’articolo 43 della Costituzione: lo Stato può affidare beni e servizi a comunità di lavoratori e utenti di servizi pubblici essenziali.

Virginia Raggi  propone invece un progetto dall’alto, un piano di servizi pubblici messi a bando e quindi offerti sul mercato.  Il c.d. rilancio del progetto della Casa è la riproposizione di una gestione del patrimonio e dell’intervento pubblico in  continuità con le esperienze di governo di questi ultimi anni. Il valore è solo quello stabilito dal mercato, comuni e stato devono fare cassa sul patrimonio.

Basta andare in un giorno qualsiasi al Buon Pastore per rendersi conto della differenza tra una Casa delle Donne e un centro di coordinamento di servizi pubblici. La Casa è un luogo aperto ad associazioni, a singoli, a chi organizza spettacoli, a chi promuove convegni, a chi riceve le donne in difficoltà, a chi si incontra in gruppi informali, a chi vuole consultare la biblioteca e l’archivio del femminismo e a tante altre cose ancora. Il tutto senza costare un euro di denaro pubblico. È veramente paradossale che la prima esperienza di governo dei  5Stelle  si incagli nelle secche dei vecchi schemi che tanto invece sembrano criticare.