La Libia, un paese senza pace e senza sicurezza

L’intervento di Karim Salem, ricercatore presso il Cairo Institute for Human Rights Studies e rappresentante della Libya Platform

I conflitti interni alla Libia vengono fatti passare come delle guerre civili di due fazioni, ma la realtà è molto più complessa. Le fazioni in guerra sono molte di più: accanto all’esercito nazionale e alle brigate di Haftar, esiste tutta una galassia di gruppi armati, dove non c’è solo l’Isis ma anche gli estremisti salafiti, che causano situazioni deplorevoli all’ovest e al sud della Libia. I gruppi armati si spostano da una parte all’altra a seconda della convenienza politica, e la presenza di gruppi armati militari e paramilitari non solo mette in pericolo la popolazione, che continua a subire violenze, ma paralizza il lavoro di tutte le istituzioni. Il potere legislativo, esecutivo e giudiziario non funzionano a causa loro. La Libia non è quindi un partner affidabile sul piano internazionale. Inoltre i governi occidentali, tramite gli accordi stipulati con alcuni attori locali, finiscono per finanziare le milizie, e questo aumenta la criminalità e allontana dalla pace.

Certamente la Conferenza di Palermo non è riuscita a trovare una soluzione. La Libia è un paese insicuro, dove caos e poteri paramilitari avvelenano la vita politica, democratica e il rispetto dei più elementari diritti. I tavoli di pace organizzati finora dalle potenze straniere hanno fallito perché non tengono conto della fragilità della situazione sul terreno. Ad esempio, si parla di disarmo, ma al momento non è stata redatta alcuna lista chiara delle milizie da integrare nell’esercito militare, né si è deciso come farlo.

Per porre fine a questa situazione di violenza infinita, iniziata nel 2012 dopo la fine della guerra, bisogna formare un comitato a guida Onu e fare in modo che le istituzioni libiche siano rapidamente coinvolte in un piano di ristrutturazione della società su scala nazionale.

Le istituzioni libiche devono impegnarsi a ricostruire la società, a partire dalla lotta all’impunità e riorganizzando il settore della sicurezza. Se arrivano armi, bisogna capire chi le sta fornendo e a chi. Il summit di Palermo si è concluso con un fallimento, che renderà la situazione ancora più critica e il Paese verso cui vorrebbero respingere i migranti ancora più pericoloso.