L’Iraq s’infiamma, continuano le proteste

In Iraq le proteste partono da lontano e hanno a che fare con la geopolitica. La presenza, e l’influenza, di Iran e Stati Uniti è sempre più percepita come un ostacolo dalla popolazione irachena che lamenta una crescente disoccupazione e le mancate riforme per la ripresa economica e, in parallelo, vede Teheran e Washington come forze esterne che sfruttano le risorse del Paese, senza nessuna ricaduta positiva a livello locale.
Sono ormai centinaia i civili morti per mano delle forze di sicurezza di Baghdad, accusate apertamente di volontarietà nell’aprire il fuoco contro i manifestanti.
La crisi istituzionale irachena ha le radici nel sistema riformato all’indomani dell’invasione statunitense del 2003. Dall’incapacità della classe politica di gestire la fase post bellica alla crescente corruzione, i temi attorno ai quali girano le manifestazioni dei cittadini dell’Iraq hanno raggiunto l’apice della tensione in un momento di crescente malcontento in tutta l’area del Vicino Oriente. Dalla Siria al Libano, passando per Israele – dove non è stato formato ancora il Governo a quasi due mesi dalle elezioni – l’instabilità regna sovrana in un’area che non trova nessuna stabilità. Anzi con Iran e Stati Uniti come ago della bilancia la situazione si fa più complicata che mai.