Quelle inutili sparate sovraniste sulla musica italiana

È oramai cosa nota che Alessandro Morelli, deputato della Lega, ex direttore di Radio Padania, sulla scia del (meritato) successo della canzone che ha vinto Sanremo cantata dall’italianissimo Mahmood e dei tweet critici del vice-premier Matteo Salvini, ha proposto un disegno di legge che dovrebbe imporre alle radio italiane di programmare almeno il 33% di brani musicali scritti da un autore italiano.

L’uscita dell’onorevole, in pieno ‘sovranista style’, è subito rimbalzata in rete e commentata da addetti ai lavori ed esperti di comunicazione.

Il mondo della musica indipendente ha ricordato che sono molti anni che chiede di inserire quote di musica ‘indipendente’ prodotta in Italia (quindi non per forza cantata in italiana o i cui autori siano nostri connazionali!) almeno nelle reti del servizio pubblico della Rai. Ma questa era una proposta nata molto prima di Spotify e dell’avvento di Youtube, che ha modificato probabilmente per sempre le modalità di ascolto.

Autorevoli siti come il Sole 24 Ore fanno notare che le canzoni italiane trasmesse oggi dalle radio sono già il 45% del totale. Quindi il decreto legge invocato dal fervente italico onorevole leghista è peggiorativo della situazione attuale.

Questo a conferma che il ‘sovranismo’ all’amatriciana è ignorante (nel senso che proprio non sa di cosa sta parlando) e, anche in questo caso, fa della propaganda l’unico obiettivo della sua azione politica.

Ovviamente la posta in gioco nel mondo della musica è un’altra ed è molto più importante. C’è un problema grande come una casa di assenza di spazi dedicati alla musica nei palinsesti Rai, con una evidente mancanza dell’azienda a rispettare gli obblighi del contratto di servizio con lo Stato italiano.

Inoltre, come sostiene in un suo post su facebook il giornalista di Repubblica ed esperto di musica italiana Felice Liperi, nessuno si scandalizza del «perché ancora dopo anni la radio pubblica sia dominata dalle playlist, scandalo che ha distrutto la radiofonia musicale», limitando la libera programmazione dei conduttori.

In effetti sono tanti che, come Emiliano Rubbi, produttore e musicista che collabora da molti anni con la scena musicale romana, pensano che «non ci debba essere nessuna imposizione dall’alto sulla libertà artistica dei programmatori delle radio. Si promuove un inutile e controproducente vecchio protezionismo».

Così come fondamentale dovrebbe essere sostenere il mondo del live con sgravi fiscali per chi organizza musica dal vivo, con fondi per l’ammodernamento dei luoghi che la ospitano e normative delle amministrazioni locali che facilitino la realizzazione di eventi, piccoli e grandi.

Insomma, questa ennesima boutade leghista non serve davvero a niente. Men che meno a sostenere l’asfittico mondo della musica del nostro Paese. Parliamo di cose serie, per favore.