Ultima fermata Srebrenica

L’11 luglio 1995 è la data della caduta di Srebrenica – «Zona protetta e demilitarizzata» con la UN Security Council Resolution 819 dell’aprile del 1993 – a seguito dell’operazione finale delle forze armate serbo-bosniache, contro le sacche di resistenza musulmane in Bosnia orientale. Nei giorni successivi alla caduta della città, avvenne il massacro sistematico di oltre 8.000 bosgnacchi (musulmani bosniaci), principalmente maschi, attuato dalle forze armate serbo-bosniache al comando del generale Ratko Mladić. Il Tribunale Penale Internazionale per i crimini di guerra in ex-Jugoslavia, nel corso del suo operato, ha condannato sostanzialmente tutta la catena di comando politico-militare serbo-bosniaca degli anni novanta, che per realizzare il proprio progetto territoriale basato sul concetto di Lebensraum – spazio vitale – si è resa responsabile di crimini contro l’umanità, mettendo in atto un programma di pulizie etniche fin dall’inizio della guerra in Bosnia-Erzegovina. É stato un genocidio al rallentatore iniziato nella primavera del 1992 e che ha toccato il baratro a Srebrenica a luglio del 1995. Sotto la bandiera delle Nazioni Unite e sotto gli occhi della comunità internazionale.

Recuperare il significato di quello che è successo in ex-Jugoslavia e a Srebrenica in particolare, risponde alla necessità di riprendere in mano la (mancata) ‘lezione bosniaca’ e riflettere sulle cause e conseguenze del fallimento della comunità internazionale durante le guerre jugoslave. Fallimento a cui è dedicato un museo proprio al Memoriale di Potočari, eretto in ricordo delle vittime del genocidio di Srebrenica. E che risuona nel monito di Alexander Langer – L’Europa muore o rinasce a Sarajevo – e si rispecchia in tutto quello che sta succedendo oggi in Europa.

Quest’anno al Memoriale di Potočari sono state sepolte altre 35 persone ritrovate nelle fosse comuni e riconosciute dal Centro di Identificazione di Tuzla. In questi 23 anni sono circa 6.800 le vittime del genocidio a cui l’ICMP-PIP è riuscito a dare un’identità. Un lavoro di ricerca e identificazione particolarmente complesso proprio a causa della modalità genocidiaria e del successivo tentativo di occultare le prove del crimine, smistando – spezzettandoli – i resti umani in una serie infinita di cosiddette fosse comuni secondarie. Il Centro di Identificazione di Tuzla sta attualmente lavorando al riconoscimento e alla riassociazione dei resti umani di circa 400 vittime, mentre a tutt’oggi risultano ancora scomparse circa 1.000 persone.

L’11 luglio è come un fuoco d’artificio. Srebrenica ritorna sotto i riflettori dei media internazionali e da città (quasi) fantasma – sono più i morti sepolti al Memoriale di Potočari, che le persone che vivono in tutta la Municipalità – si rianima di una folla che da tutto il mondo viene a partecipare alle Commemorazioni del genocidio. E riesplode il conflitto di narrative rispetto a quanto successo durante la guerra. I negazionisti sono ben rappresentati dal sindaco serbo della città che ha dichiarato, rispetto al genocidio, che non si può negare quello che non è mai successo o da politici di alto rango dei partiti nazionalisti serbi, che hanno twittato nefandezze tipo che se i musulmani ci tengono tanto a questo genocidio, che stiano pronti per il prossimo. Finite le Commemorazioni il fuoco d’artificio mediatico sfumerà e Srebrenica ritornerà ad essere un luogo della periferia europea – geografica e storica – che possiamo far finta che non esista, che non sia mai successo o che non lo sapevamo. E che ritornerà a confrontarsi con se stessa, con la memoria di quello che era e che non sarà mai più. E il peso di continuare a viverci per tentare di ricostruire un tessuto socio-antropologico devastato dal genocidio rimarrà sulle spalle di pochi giganti, come i ragazzi e le ragazze di Adopt Srebrenica, un laboratorio di speranza, che abbiamo avuto modo di conoscere e di sostenere con il progetto Ultima fermata Srebrenica, un viaggio necessario nella nostra memoria recente organizzato da Arci Bolzano e Arci del Trentino, aperto a collaborazioni con altre realtà Arci interessate a questo percorso.