Giovani, futuro e disuguaglianze: la ricerca Ipsos per Arci

Il 65% dei giovani in Italia vive una vita reale distante da quella ideale, la metà di loro non sa immaginarsi a 50 anni perché vede il futuro con troppe incertezze, una ragazza su quattro è infelice. Sono sfiduciati dalla politica, ma sono impegnati nel volontariato.
Sono alcuni dei dati che emergono dalla ricerca “Chiedici se siamo felici. Giovani protagonisti di futuro”, realizzata da Ipsos per Arci in occasione della quarta edizione di eQua, l’appuntamento nazionale dell’associazione dedicato alle disuguaglianze e presentata a Roma, nella sede del CNEL.

La ricerca, realizzata tra febbraio e marzo scorso con 1.000 interviste a ragazze e ragazzi tra i 18 e i 30 anni, ha indagato benessere psicologico e sociale, aspirazioni, valori, interessi culturali, rapporto con l’impegno civico e le istituzioni. Il campione è stato stratificato per genere, area geografica, età, titolo di studio e condizione occupazionale.

I dati raccontano di un divario di genere evidente: le giovani donne dichiarano minore autostima, minore sicurezza in sé stesse e maggiore difficoltà nella gestione dello stress rispetto ai coetanei uomini. Non solo: il 65% dei giovani percepisce una distanza significativa tra la propria vita reale e quella ideale, con una quota maggiore tra le ragazze e tra chi è in cerca di lavoro.

In una scala di autovalutazione da uno a dieci, il benessere fisico e mentale si attesta a 6,7 nei ragazzi, scende a 6,3 nelle ragazze e a 6 tra chi non studia e non lavora. Chi lavora e studia si ritiene in media più felice (7,2) rispetto a chi non lo fa (5,9).

I valori più importanti restano famiglia e amicizie. L’impegno sociale e politico, invece, si esprime soprattutto in forme digitali: il 37% segue attivisti o influencer online, ma la partecipazione a manifestazioni o incontri politici è bassa. Le attività culturali preferite sono ascoltare musica, guardare film e serie tv, viaggiare.

Una sezione della ricerca ha riguardato anche la conoscenza di Arci: il 37% degli intervistati conosce l’associazione, percentuale che sale al 50% tra i 27-28enni e al 46% tra i 29-30enni. Il 54% di chi conosce Arci ritiene importante la presenza dei circoli, e l’82% li considera essenziali nel Sud e nelle Isole.


“Bisogna superare – afferma Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos – la rappresentazione che relega i giovani nel ruolo di ‘sdraiati’, di persone che non hanno interessi. Il poco interesse per la politica – 5,2 il giudizio da 1 a 10, al minimo tra i neet, e con il 25% del campione che non discute mai di politica e attualità – è perché la vedono distante e con discredito. Il 66% degli interpellati svolge o ha svolto attività di volontariato. La fiducia nelle istituzioni, da 1 a 10, è 6 per scuola e università, 5,7 per Unione europea e Terzo settore, e solo 4,4 per i partiti”.

E continua: “Siamo il secondo paese più vecchio al mondo e i giovani sono una platea ristretta dal punto di vista elettorale, non è proficuo investire su di loro. Non è un caso se in Italia nelle elezioni politiche del 2022 e in quelle europee del 2024 il più alto tasso di astensionismo si registra proprio tra i giovani. Due su tre dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non sono autonomi, vivono ancora in famiglia: siamo agli ultimi posti in Europa. Bisognerebbe pensare a lungo termine, affrontando non soltanto il problema occupazionale, ma anche il salario di ingresso, le politiche abitative e conciliative, il benessere fisico e mentale”.


Il quadro che emerge non è rassicurante: il 29% dei ragazzi intervistati dichiara insoddisfazione per la propria salute mentale e per la situazione economica. Il 62% ha ricordi negativi nell’ultimo anno, soprattutto le ragazze e i neet, legati a stress, ansia e insicurezza. Il 47% non sa immaginarsi a 50 anni: per il 43% ci sono troppe incertezze nella vita attuale, per il 31% manca ancora troppo tempo, per il 24% il mondo cambia troppo velocemente.

“È un errore – sottolinea Camilla Piredda, area politiche dei diritti CGIL Nazionale – parlare dei giovani come di una categoria unica. Bisogna invece guardarli nella loro trasversalità, come il resto della società. Come fanno a stare bene se siamo tra i paesi con più neet in Europa, se il 90% dei contratti di lavoro che li hanno coinvolti nell’ultimo anno sono precari? È una generazione che vedrà le pensioni sotto la soglia di povertà. Ci si stacca più tardi dal nucleo familiare non per scelta, ma perché non ci sono condizioni economiche per farlo. Servono politiche attive per il lavoro, il benessere e la salute mentale, spazi per costruire comunità”.

“La difficoltà per i giovani di trovare lavori dignitosi, sia da un punto di vista professionale che per lo spazio per le relazioni e la vita privata – osserva Sara Pilia, Project manager EXIT Project – è molto evidente nelle aree marginali, anche per i laureati. Dove ci sono meno persone e meno confronto con gli altri è difficile gestire conflitti e relazioni. Questo influisce sulla stima di sé e sul proprio benessere, anche sessuale. Quello che abbiamo visto, analizzando la situazione in 17 aree marginali di 8 paesi europei, è che invece dove ci sono circoli e spazi autogestiti si costruisce fiducia in sé stessi. Sono luoghi di confronto dove si può toccare con mano la politica. Altrimenti perché occuparsi di politica se non si hanno gli strumenti per cambiare le cose?”.


“I giovani oggi – afferma Simone Romagnoli, Presidente Giovani ACLI – devono combattere per non essere esclusi dal proprio tempo. Il 65% vive una vita reale distante da quella ideale, soprattutto le ragazze. Sono infelici perché la felicità è sentirsi riconosciuti. Avere un lavoro dignitoso e non una precarietà cronica. La felicità nasce dal sentirsi parte di una comunità. Se vogliamo costruire politiche giovanili dobbiamo smettere di pensare a politiche individuali, ma costruire comunità, luoghi di incontro, esperienze collettive”.

“Anche il tema della casa – evidenzia Andrea Laguardia, Vice Presidente e Direttore di Legacoop Produzione e Servizi – è molto sentito. I giovani oltre al lavoro chiedono alle aziende se sono in grado di offrire strumenti di welfare, smartworking, mutui agevolati con le banche per le case. In un paese dove gli stipendi non crescono serve un approccio di sistema”.

“Dal lavoro e dagli incontri nelle scuole – racconta Fabrizio Barca, Forum Disuguaglianze e Diversità – emerge che lo Stato anziché cercare di attuare l’articolo 3 della Costituzione sta impedendo la vita di nuove generazioni, li sta massacrando escludendoli e facendoli entrare nel mondo del lavoro il più delle volte per essere sfruttati. I giovani sono però molto consapevoli, sanno che non si cambia senza politica, ma dicono: io non lo faccio. Sono sfiduciati perché non hanno potere e sentono di non contare”.


“I problemi dei giovani, in un mondo come quello di oggi che gli stiamo lasciando in eredità, sono problemi che riguardano tutti – sottolinea Walter Massa, presidente nazionale Arci – e richiedono un lavoro e una battaglia intergenerazionale. Bisogna mettere insieme le generazioni senza ghettizzare nessuno, come abbiamo sempre cercato di fare nei nostri circoli, mettendo a disposizione una moltitudine di spazi dove nuove generazioni trovano casa.

L’unica politica giovanile da ormai 15 anni è il Servizio civile universale. Le poche politiche giovanili fatte in questi anni si riferivano a bonus individuali. Il lavoro che abbiamo deciso di fare è di passare da analisi condivise a proposte concrete, mettendo insieme questo tavolo per pensare a delle proposte di legge che il CNEL, per voce del presidente Renato Brunetta che ha mostrato grande disponibilità, ci permette di fare. Rispondere ai bisogni dei ragazzi e delle ragazze vuol dire rispondere ai bisogni del paese e del nostro futuro”.