Ancora fondi per le guardie costiere libiche, mentre aumentano i respingimenti e i morti nel Mediterraneo

All’indomani dell’approvazione del decreto sulle missioni internazionali, con cui l’Italia proroga sino al 2022 la missione di supporto alla guardia costiera libica, denunciamo ancora una volta le drammatiche conseguenze di questa cooperazione, finalizzata a fermare i flussi di persone in arrivo, anche a costo di condannarle a un sistema di violenza, sfruttamento e detenzione indiscriminata.

Attraverso la consultazione di documenti pubblici sui siti ministeriali, abbiamo cercato di mettere insieme i principali programmi che contribuiscono al supporto delle autorità di frontiera libiche, con cui ad oggi l’Italia e l’Ue hanno fornito manutenzione e formato gli equipaggi di almeno 6 o 7 motovedette di proprietà libica e ceduto gratuitamente, oltre alle 4 motovedette risalenti agli accordi del 2009, altre 12 unità navali di proprietà della Guardia di finanzia e della Guardia costiera italiane e 20 battelli di nuova costruzione.

Dal 2017 sono 60 mila le persone intercettate e respinte in Libia e condannate a tornare in un sistema di detenzione, abusi e violenze. 823 le persone morte nel Mediterraneo centrale dal 1 gennaio al 30 giugno 2021, secondo i dati delle Nazioni Unite. A questi drammatici numeri si aggiunge l’incapacità degli interlocutori di Roma a Tripoli di svolgere i compiti di ricerca e soccorso in mare. Una realtà davanti a cui i governi continuano a chiudere gli occhi, ma che si è palesata anche con gli ultimi drammatici episodi di violenza delle autorità libiche e con le inaccettabili morti dovute agli scarica barile tra le autorità dei paesi europei e di Tripoli.

Che si tratti di accordi, dichiarazioni tra ministri, intese o programmi di attuazione dei vari progetti, la costellazione di misure che formano la cooperazione tra Italia e Libia per il blocco dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale è comunque accomunata da una grave mancanza di trasparenza, spesso giustificata dalle autorità italiane in termini di attività “di elevata sensibilità istituzionale”, ma che in realtà sembra finalizzata a tenere lontana dal controllo democratico e dall’opinione pubblica la realtà delle misure di esternalizzazione delle frontiere, gravemente lesive dei diritti umani e delle norme costituzionali e internazionali.

ARCI chiede ancora una volta alle autorità italiane ed europee di:

–     Sospendere i finanziamenti e il supporto materiale alle autorità costiere libiche, davanti alle evidenti e continue violazioni dei diritti umani e abusi di cui le persone intercettate sono vittima

–       Fornire una rendicontazione completa e trasparente di come sono stati usati soldi pubblici per le attività di cooperazione, formazione ed equipaggiamento delle autorità libiche in materia di controllo della migrazione

–       Investire maggiormente su iniziative di resettlement e promozione di canali umanitari per l’evacuazione dei centri di detenzione libici

–       Promuovere un meccanismo di Ricerca e soccorso nel Mediterraneo per fermare le stragi, in coordinamento con le Organizzazioni non governative che da anni continuano a prestare soccorso e testimonianze, e porre fine alle ripetute limitazioni e attacchi che le organizzazioni umanitarie subiscono per salvare vite in mare.