C2C STANDS

Arci racconta il festival torinese

C2C rappresenta un punto di riferimento per la scena dei festival musicali a livello internazionale: ha attraversato la pandemia, la sperimentazione di location e formati diversi, un’evoluzione (da Club2Club a C2C) che lo ha portato ad allargare il suo sguardo oltre il clubbing, verso le frontiere più contemporanee dell’esperienza musicale e che forse per questo rende l’ormai consolidato abbinamento all’art week torinese un connubio così attrattivo.

Perché scrivere di C2C? Il festival non ha certo bisogno che Arci confermi il suo valore, ma esiste qualcosa di meno visibile, che vale la pena raccontare.

Gli annosi dibattiti su cosa sia “cultura” e cosa “intrattenimento” riempiono le discussioni tra addetti ai lavori e rimangono spesso intrappolati nel tentativo di formulare distinzioni quasi impossibili – e di dubbio interesse – basate sulle sole scelte artistiche, utilizzando categorie come novità, ricerca, avanguardia, respiro internazionale.

Ma se C2C ha pochi rivali pure all’interno di tali classifiche, ogni novembre va in scena a Torino – senza salire sul palco – qualcosa di più, che si misura attraverso il filtro di parole come attivismo, territorio, politicità, mutualismo e, quest’anno più che mai, pace.

“Gli spettacoli non saranno sostituiti, per far sì che la loro assenza risuoni in questi giorni drammatici”. “Loro” sono gli artisti legati a BLTNM, un’etichetta palestinese che ha dovuto annullare i tour previsti a causa della crisi in corso: Shabjdeed, Al Nather, Daboor & Mouri erano attesi a Torino. Il festival ha diffuso un comunicato che va molto oltre l’annuncio di una data annullata: C2C ha preso apertamente posizione contro l’escalation di violenza a Gaza e ha deciso di non procedere a nessuna sostituzione o rimozione. Solo il brusio delle persone riunite al festival riempirà quel silenzio. Una scelta che renderà quei momenti più simili a una performance che all’attesa del set successivo. “C2C stands in solidarity”, si legge nel comunicato. Non esiste una parola italiana che descriva meglio dell’inglese “stand” l’esperienza di quei corpi e di quel tempo sospesi.

Chi conosce C2C sa dell’attenzione che il festival dedica alla comunicazione, una delle chiavi del suo successo. E allora, perchè non mi stupisce un posizionamento così forte e tutt’altro che “dovuto” o “comodo” sui canali ufficiali?

Dietro C2C c’è Xplosiva. Per iniziare: un’associazione (aderisce ad Arci). Difficile trovare altri enti privati organizzatori di eventi paragonabili per volumi  – economici e di utenza – che abbiano mantenuto una governance non proprietaria. Il non profit è una scelta politica, non semplice, per giunta, da quando, nel 2017, la Riforma del Terzo Settore ha imposto maggiori vincoli – anche economici – alle attività associative.

Agli esordi era “Club 2 Club”, un festival diffuso, che affondava le radici in una rete di club night, circoli e locali torinesi. E’ una pratica mutualistica che ha consentito, tramite Xplosiva, a professionisti e artisti di misurarsi – e far misurare una città in qualche modo defilata come Torino – con un evento di rilievo internazionale, tirato su dal basso, unendo le forze di un circuito.

Anche la line up di C2C può essere letta oltre la dimensione artistica, riconoscendo il legame del festival con il territorio: scelte non certo guidate da esigenze commerciali hanno dato a diversi artisti “turin based” (cito tra gli altri, solo per amicizia, Yendri e Spime.im) collocazioni centrali nella programmazione.

Sono più di 20 anni. Nell’epoca dell’eventification, delle relazioni estrattive “arraffa e scappa” tra grandi eventi e territori marginali, della finanziarizzazione della music industry (che riguarda ormai tutto l’indotto, dalla produzione di live e album alla sua distribuzione), tra difficoltà logistiche (normative, flussi, ospitalità, etc) C2C è soprattutto a Torino, con una testardaggine che non può non essere sottolineata. E speriamo ci rimanga a lungo.

Di C2C apprezzo l’attitudine non rivendicativa, l’asciuttezza e l’astensione dalla retorica, che se per qualcuno potranno essere riconducibili a un certo understatement sabaudo, per me dimostrano la capacità di non appesantire il proprio messaggio culturale – e dunque politico – con didascalie superflue, per lasciarlo, semplicemente, risuonare.

Quest’anno, però, credo ci sia bisogno di condividere queste informazioni, raccontare quale può e deve essere il nesso che lega i cortei per il “cessate il fuoco” che stanno riempiendo le piazze di tutto il mondo e un festival come C2C. Sta nella lezione forse più importante che si acquisisce e prova a diffondere con Arci: non si può fare politica senza fare cultura, è impossibile fare cultura senza fare politica.