David di Donatello: 7 nomination ai film de L’Italia che non si vede

‘La terra dell’abbastanza’, ‘Un giorno all’improvviso’, ‘La strada dei Samouni’ e ‘Arrivederci Saigon’ candidati alle statuette degli Oscar italiani

Non è più una sorpresa, ormai è diventata una piacevole consuetudine cui ci stiamo abituando ogni anno che passa. Per citare solo i casi più eclatanti, occorre ricordare almeno le 4 statuette vinte nel 2018 da Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli e il Premio quale miglior documentario assegnato l’anno precedente a S is for Stanley di Alex Infascelli.

La nostra rassegna itinerante L’Italia che non si vede, giunta all’ottava edizione, continua a scavare nel cinema del reale con sempre maggiore qualità e i riconoscimenti dei film selezionati per la circuitazione sono unanimemente riconosciuti tra i più significativi della produzione nazionale.

Sono stati ben 4 i titoli gratificati martedì scorso da una o più candidature al David di Donatello rinnovato da Piera Detassis (forse ‘riverniciato’ sarebbe un termine più congruo, visto che si tratta pur sempre di un riconoscimento conferito dall’industria: il 70% dei 1570 giurati è composta da vincitori e nominati, il resto da tecnici che comunque operano nel cinema).

Non era facile, in un anno particolarmente felice per il cinema nazionale (se non sotto il profilo degli incassi, sempre deboli nelle stagioni de-zalonizzate) dal punto di visto autoriale, con opere di assoluto valore che si sono affermate nei maggiori festival internazionali, e con un manipolo di agguerriti registi esordienti di cui sentiremo parlare a lungo. Parlando dei quali non si può non segnalare con una punta di orgoglio le 4 candidature per La terra dell’abbastanza, che dopo il passaggio alla Berlinale ha riscosso un buon risultato al box office e soprattutto ha rivelato la mano sicura e il talento precoce dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo. Sempre in tema di opere prime, esultiamo per la nomination di Anna Foglietta come migliore attrice protagonista di Un giorno all’improvviso del nostro Ciro D’Emilio.

Ho raggiunto Ciro al telefono per saggiarne la reazione. “Sono felicissimo per Anna – mi ha risposto raggiante – non era facile imporsi in un piccolo film low-budget, che rischiava di passare inosservato al cospetto delle grandi produzioni nazionali. Ma la sua adesione al progetto e l’intensità della sua interpretazione sono state tali da emozionare pubblico e giurati”. Gli ho chiesto se non provasse un pizzico di delusione per la mancata candidatura quale miglior regista esordiente. “Non posso negare che mi avrebbe fatto piacere un riconoscimento al film, soprattutto perché avrebbe gratificato l’intera troupe che ha lavorato per la sua riuscita. Ma vedo che mancano all’appello anche altri lavori importanti, come ad esempio Manuel di Dario Albertini, e guardo avanti, la mia carriera è appena agli inizi. Sto già lavorando al mio secondo film, che sarà un’opera complessa e ambiziosa”.

Infine, nella categoria che ci è più congeniale, i documentari, nonostante la concorrenza di maestri come Nanni Moretti e autori di rilevanza internazionale come Roberto Minervini, ben 2 titoli su 5 sono inclusi nella nostra rassegna. Si tratta ovviamente de La strada dei Samouni di Stefano Savona, impreziosito dalle animazioni di Simone Massi (già premiato come miglior doc all’ultimo Festival di Cannes), e di quel piccolo gioiello di Arrivederci Saigon di Wilma Labate, passato in selezione ufficiale a Venezia.

Per chiudere, al netto delle insindacabili valutazioni dei giurati, molti dei quali peraltro temo non abbiano visto molti dei film presentati per le cinquine, mi sia concessa di esprimere qualche perplessità di merito. Nonostante la simpatia che mi ha sempre ispirato un attore come Valerio Mastandrea, trovo fuori luogo la sua candidatura anche come regista esordiente (per il fragile Ride) e soprattutto anche per la sceneggiatura di un film debolissimo, soprattutto proprio per come la scrittura ha sciupato il materiale di partenza, come La profezia dell’armadillo.

Né mi è sembrata una scelta lungimirante ammettere tra le opere di registi esordienti Fabrizio De André – Principe libero, di fatto una mini-serie televisiva RAI passata al cinema come evento, che meglio avrebbe figurato in altri contesti. Infine, ma non vorrei essere tacciato di complottismo, anche le 13 (tredici) candidature di un film ambizioso ma malriuscito come Capri-Revolution di Martone (produzione Raicinema, distribuzione 01) mi sembrano a dir poco eccessive.

Insomma, con buona pace di Piera Detassis, l’edizione del cambiamento sarà la prossima. Forse.