A oggi i figli dei laureati si laureano, tutti gli altri no. È in estrema sintesi la più grande diseguaglianza nel nostro Paese, quel principio dell’ascensore sociale rappresentato dalla scuola si è fermato. Ma possiamo rassegnarci a questo dato? Un tarlo che dovrebbe avere chiunque voglia costruire una società più equa, dove tutti – avendo la voglia e l’impegno – dovrebbero poter costruire il proprio futuro senza ostacoli imposti da condizioni ascrittive. Del resto ce lo imporrebbe anche la Costituzione quando enuncia «rimuovere tutti gli ostacoli» per lo sviluppo e la partecipazione alla vita comune.
Il nuovo Governo ha – ed è apprezzabile – fin dal suo debutto ricordato il valore e l’importanza della scuola, ma il lavoro da fare è tanto e non c’è tempo da perdere. Si tratta sì di risorse da incrementare, ad esempio per gli insegnanti e per l’edilizia scolastica, ma è urgente il cambio di approccio culturale all’insegnamento. Oggi la stragrande maggioranza delle scuole vede una didattica con metodi del secolo scorso, l’innovazione e l’idea di una scuola come ponte verso il futuro rimangono miraggi.
Questo record negativo italiano, e siamo tra i peggiori in Europa, non è misurabile come il debito pubblico. Ma gli effetti fanno ancora più paura delle tabelle economiche. L’immobilità sociale è una urgenza per qualsiasi società che si preoccupi del futuro, se la tua vita dipende dalla famiglia in cui sei nato è un problema. Mi auguro, che questo Governo introduca questo argomento nella agenda politica con la necessaria priorità. Non è più rinviabile e dopo anni di crisi economica e sociale i dati sono peggiorati. Le diseguaglianze non sono un fenomeno inevitabile, ma sono la conseguenza di scelte politiche.