Arci nazionale aderisce alla lettera-appello promossa dalle associazioni che da anni si battono per la prevenzione, per la depenalizzazione del consumo e per la riduzione del danno.
Di seguito il testo presentato durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati.
Quali associazioni italiane che lavorano nel campo della politica e degli interventi sulle droghe, chiediamo che il Governo avvii un confronto con la società civile in merito al prossimo Segmento ad Alto Livello della 62^ sessione della Commission on Narcotic Drugs (CND), durante il quale ministri e capi di stato dei paesi membri delle Nazioni Unite discuteranno della politica globale della droga (Vienna, 14 e 15 marzo 2019).
L’impegno delle nostre associazioni (in particolare di Forum Droghe che gode di status consultivo presso l’ECOSOC) sulle politiche internazionali delle droghe è di lunga data, così come il nostro sforzo per dialogare con le rappresentanze del governo italiano in corrispondenza degli appuntamenti più significativi: così è avvenuto per il Segmento ad Alto Livello della CND del 2009 e per l’Assemblea Generale Speciale ONU sulle droghe tenutasi a New York nel 2016 (UNGASS 2016).
La nostra richiesta di confronto è oggi autorevolmente supportata dallo stesso Outcome Document di UNGASS 2016, laddove si «riconosce che la società civile, alla pari della comunità scientifica e accademica, gioca un ruolo importante nella risposta al problema mondiale della droga» e che «le rappresentanze degli organismi della società civile dovrebbero essere messe in grado di svolgere un ruolo partecipativo a supporto della valutazione delle politiche e dei programmi circa le droghe».
Chiediamo dunque un’occasione di dialogo pubblico in preparazione di Vienna 2019 e, in vista di questo, avanziamo alcune considerazioni di merito, utili a segnare il terreno di discussione e a precisare il nostro punto di vista. Il Segmento ad Alto Livello della 62° CND è un’occasione importante di valutazione delle politiche internazionali, sia rispetto agli obiettivi stabiliti nella CND 2009, sia rispetto all’implementazione dei più recenti indirizzi decisi a UNGASS 2016.
Nonostante UNGASS 2016 non abbia pienamente rappresentato il full and honest debate sollecitato dall’allora segretario generale Ban Ki Moon al fine di una valutazione seria delle politiche con l’adesione di correnti internazionali e delle possibili alternative, tuttavia lo Outcome Document presenta alcuni elementi di novità, che la CND 2019 dovrebbe confermare e rafforzare. In particolare, le raccomandazioni circa:
- la piena conformità di tutti gli aspetti del contrasto alla droga – dalla riduzione dell’offerta alla riduzione della domanda – «con gli scopi e i principi delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Si tratta di un importante richiamo contro le violazioni dei diritti umani che avvengono in molti paesi in nome del contrasto alla droga – dalle esecuzioni senza giudizio, alle pene non in linea col principio di proporzionalità rispetto alla gravità del reato, ai trattamenti coatti non rispettosi della dignità delle persone.
- Una maggiore coerenza all’interno del sistema ONU (in linea con l’auspicato inquadramento delle politiche della droga nell’ambito della generale mission delle Nazioni Unite, di promozione dello sviluppo e dei diritti umani). Ciò significa una costante collaborazione fra lo United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) e le altre agenzie che insistono su altri aspetti del problema droga, in specie la WHO, UNAIDS, lo UNDP (United Nations Development Programme); così come l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.
- Il collegamento (e la compatibilità) fra gli obiettivi di contrasto alla droga e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDG), questi ultimi centrati sulla promozione della pace, della sicurezza, del benessere delle comunità. Questa raccomandazione getta una luce critica su alcuni indirizzi delle politiche internazionali: a UNGASS 1998 l’enfasi sull’obiettivo di ‘eliminazione’ della droga in dieci anni ha portato a strategie aggressive di sradicamento delle coltivazioni illegali nei paesi produttori, con conseguenze nefaste di inquinamento dei territori e di impoverimento dei contadini. Lo stesso approccio di ‘guerra alla droga’ nei paesi cosiddetti consumatori si è tradotto nella concentrazione della maggior parte delle risorse sulla risposta penale, a scapito delle risposte sociosanitarie: con la conseguenza di una inadeguata tutela della salute dei consumatori e delle comunità, specie nel contenere emergenze gravi come le infezioni da HIV e HCV.
- L’incremento degli sforzi a livello internazionale e nazionale per risolvere il grave problema dell’insufficiente disponibilità di sostanze psicoattive a uso medico (come accade in molti paesi, mentre in altri la disponibilità è addirittura inesistente).
Nonostante questo appello, assistiamo con preoccupazione a spinte ricorrenti per inserire nelle tabelle delle droghe proibite internazionalmente sostanze che in alcuni paesi in via di sviluppo sono utilizzate largamente come analgesici, essendo le uniche disponibili a tale scopo (come la ketamina e il tramadolo). Quanto al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dieci anni fa, alla CND 2009, è evidente che l’obiettivo di «eliminare, o significativamente ridurre, la disponibilità di droga entro dieci anni», stabilito una prima volta a UNGASS 1998 e reiterato alla CND 2009, non è stato raggiunto.
A distanza di più di venti anni, è giunta l’ora di riconsiderare questo obiettivo, a valenza più ideologica che pragmatica, per trovare invece obiettivi più ragionevoli e realistici, nonché più misurabili: in modo da permettere una valutazione effettiva delle politiche (sulla base di indicatori di esito e non solo di ‘processo’, utili solo a considerare gli sforzi fatti e non la validità degli obiettivi proposti).
Un esempio di nuovi obiettivi potrebbe essere, nell’ambito della salute, la riduzione delle morti droga correlate e la riduzione dell’incidenza di HIV e HCV; nell’ambito delle politiche penali, la riduzione dei tassi di incarcerazione.
A questo scopo chiediamo, in sintonia con analoga proposta delle reti internazionali delle associazioni della società civile, che il governo italiano sostenga l’istituzione di una commissione – cui la società civile partecipi – per la revisione e l’adeguamento degli indicatori di valutazione delle politiche globali.
Infine, chiediamo che Vienna 2019 non si traduca in un semplice adempimento burocratico, ignorando o fingendo di ignorare i cambiamenti che stanno avvenendo in diverse parti del mondo: dal consolidamento di quello che viene comunemente chiamato il ‘modello europeo’, basato sullo spostamento di enfasi e risorse dalla repressione alla salute, con lo sviluppo di nuove strategie sociosanitarie di riduzione del danno; alle innovazioni legislative di riduzione dell’impatto penale e carcerario, in specie con la decriminalizzazione dell’uso personale di droga; all’estendersi di sperimentazioni di regolamentazione legale della cannabis in Uruguay, in diversi stati degli Usa, e di recente in Canada.
Se è vero che UNGASS 2016 ha riconfermato nello Outcome Document la ‘flessibilità’ delle Convenzioni, tale da consentire spazio per modelli nazionali di politiche e per sperimentazioni (come quelle sulla cannabis), ciò non preclude, anzi rafforza l’esigenza di una discussione sui processi di innovazione. Con la convinzione che le istituzioni internazionali avrebbero tutto da guadagnare da un full and honest debate, ancora una volta. Auspichiamo per l’Italia un ruolo importante, in primo luogo confermando la propria collocazione all’interno del ‘modello europeo’: l’Europa vanta il primato nel campo dell’innovazione, avendo abbandonato la ‘guerra alla droga’ per un ‘approccio bilanciato’, fra penale e sociale. L’Italia ha una lunga storia di sviluppo della normativa sulla droga, segnata da un pronunciamento popolare a favore della depenalizzazione dell’uso personale, nel 1993. Contro i risultati del referendum, fu legiferato nel 2006, col risultato di un considerevole inasprimento penale tramite l’innalzamento delle sanzioni senza più distinzione fra le diverse droghe.
L’impegno di molte associazioni ha messo in moto un’inversione di tendenza, con un minore impatto punitivo per i reati di droga di minore gravità; culminato nel 2014 con l’intervento della Corte Costituzionale, che ha abrogato gran parte della legge del 2006. In linea con questa tendenza, il parlamento ha sancito la legittimità dell’uso terapeutico della cannabis, decisione oggi autorevolmente supportata dalla risoluzione della OMS del 24 gennaio scorso.
L’Italia può dunque portare una riflessione circa l’impatto di diversi orientamenti penali in tema di droga sui sistemi della giustizia e del carcere; così come sul rapporto fra droghe e salute, sulla base di un consolidato sistema integrato di servizi per le dipendenze, rafforzato dall’introduzione della riduzione del danno nei Livelli Essenziali di Assistenza; e sul rapporto fra droghe e diritti umani, battendosi per l’abolizione della pena di morte per i reati di droga e per l’eliminazione di tutte le pratiche contrarie alla dignità umana.