Erdogan fa affari in Italia e intanto bombarda i kurdi ad Afrin

cq5dam.web.738.462.jpegUna visione di sviluppo e di società mediterranea non ce l’ha più nessuno. Dovrebbe essere interesse primario non avere il nostro mare come un problema. E ricostruire intorno alle sue sponde sviluppo e civiltà.

La abbiamo avuta decenni, una politica mediterranea. Ce l’avevano Berlinguer, Andreotti, Craxi. Ce l’avevano, molto più a nord, Olaf Palme e Willy Brandt.

Oggi, l’Unione Europea ha sostituito la sua pur inconsistente strategia euromediterranea con la nuova politica di vicinato, fondata solo su lotta al terrorismo e all’immigrazione.

A parte la Francia con la sua grandeur neo-coloniale, nessun paese mediterraneo pensa a rivendicare la sua appartenenza regionale, e a inventarsi un piano da giocare in autonomia – un New Deal per la pace, la democrazia e il lavoro. E così si lascia ad Erdogan lo spazio politico per presentarsi come il paladino di Gerusalemme e dei palestinesi. Lui ne approfitta per cercare di sbrinare le relazioni con il Vaticano. E per mettere in vetrina le relazioni con l’Italia.

Siamo il terzo partner commerciale, con scambi in aumento. Oltre agli appalti per infrastrutture, l’export di meccanica, l’import di nocciole per la Nutella e il gasdotto Tap, noi gli vendiamo una grande quantità di armi: aerei, difesa aerea e missili.

L’Europa gli ha già affidato le chiavi del flusso di profughi e migranti, e Erdogan continua ad aumentare il prezzo – ora vuole sei miliardi di euro. Lui bombarda i kurdi ad Afrin e li perseguita in patria, arresta e licenzia migliaia di democratici turchi. E noi, nella Roma super-blindata per la visita del sultano, gli regaliamo anche il pestaggio dei kurdi – quelli che combattono e muoiono per fermare l’Isis.