#FermatePillon. Lo chiedono i centri antiviolenza.

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Sono già oltre 76 mila le persone che hanno risposto all’appello lanciato da D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, che chiede il ritiro del Ddl 375 su separazione e affido, primo firmatario il senatore leghista Simone Pillon, mentre aumenta di giorno in giorno il numero di associazioni – a tutela dei minori, femministe, di esperte/i – che intervengono nel dibattito, segnalando tutti i limiti di questo discusso disegno di legge, e si preparano a scendere in piazza il 10 novembre.

Come spiega Luisanna Porcu, presidente del Centro antiviolenza Onda rosa di Nuoro, psicologa e referente del gruppo tecnico psicologhe della rete D.i.Re, “Il Ddl Pillon vuole normalizzare la violenza, delegittimando l’esperienza viva delle donne, come già avviene troppo spesso nelle aule dei tribunali, dove le donne non sono credute o i loro racconti di violenza sono rubricati come ‘conflitti familiari’, una definizione che presuppone una parità tra i contendenti che non esiste quando un uomo picchia la propria partner, i figli assistono alla violenza, la minaccia e continua a esercitare pressioni psicologiche a volte devastanti”. 

È proprio sul fronte della violenza assistita che la preoccupazione di chi lavora nei centri antiviolenza e nelle case rifugio gestite dalla rete D.i.Re è massima.Il Ddl Pillon”, afferma Porcu, “ignora la violenza assistita. Pensare che la violenza e la funzione genitoriale siano ‘distinti’ comporta sempre un ulteriore danno sia alla madre che ai minori. I bambini vittime di violenza assistita sono cresciuti con la consapevolezza costante di ‘quanto sarebbe potuto accadere’ e quindi con un senso di profonda disperazione. Hanno sperimentato sulla propria pelle, direttamente o indirettamente, la loro funzione di ‘strumento’ per l’esercizio del potere maschile sulla madre. Per questo spesso non vogliono continuare a vedere il padre, quando la coppia si separa. Un uomo violento, anche se non lo è stato direttamente con il proprio figlio, non è e non dovrebbe mai essere considerato ‘comunque un buon padre’, come pretende il Ddl Pillon”.

Infine, l’altro aspetto critico evidenziato dalle esperte di D.i.Re: l’introduzione ‘sottobanco’ della Pas, la sindrome da alienazione parentale, non riconosciuta in nessun manuale diagnostico per la sua infondatezza clinica, “che si ritorcerà contro le donne in fuga da situazioni di maltrattamento, accusate di agire consapevolmente e intenzionalmente per allontanare i figli dal genitore”, fa notare Luisanna Porcu.

Un bambino che chiede di non vedere il padre violento è un bambino ‘sano’, intendendo con questa parola che è un bambino che attivamente struttura e mette in atto meccanismi di difesa che non sono solo inconsci, ma espliciti”, spiega Porcu. “È un bambino che va ascoltato nella sua richiesta di assoluta protezione, sostenendo le madri sopravvissute alle violenze nella consapevolezza che solo contesti e relazioni significative prive di violenza consentiranno al bambino la creazione di nuovi modelli interni di funzionamento e il superamento del trauma vissuto”.

Trauma che il Ddl Pillon rischia di attualizzare a tempo indefinito, con il suo meccanismo contabile a pié di lista e i suoi piani genitoriali che pretendono di ingabbiare gli affetti in una serie di doveri mascherati da diritti il cui impatto su donne e bambini rischia di essere tragico.