Il Palmarés di Cannes secondo Cinequanon

Conclusione a sorpresa del 71° Festival di Cannes. La Palma d’oro è andata al giapponese Shoplifters di Kore-Eda Hirokazu, un regista habitué del festival che in carriera aveva ricevuto pochi riconoscimenti e non era stato molto considerato dai pronostici di questi giorni. E ci sono stati due premi per il cinema italiano, che avrebbe potuto ambire anche a molto di più, soprattutto con il bellissimo e duro Dogman di Matteo Garrone, che ha gioito per la Palma di miglior attore andata nelle mani di un emozionato Marcello Fonte. Un’interpretazione straordinaria che vale una carriera. Fonte, visto ne L’intrusa e in Io sono Tempesta, si è calato in maniera totale dentro i panni di quest’uomo puro e insieme provato dalla vita, che subisce e si ribella senza speranza. Premio per la sceneggiatura ex equo a Alice Rohrwacher per Lazzaro felice («una sceneggiatura bislacca» secondo la stessa autrice nel suo discorso di ringraziamento) e a 3 Faces dell’iraniano Jafar Panahi.

La giuria presieduta da Cate Blanchett ha spalmato i premi su nove dei 21 film in lizza e ha laureato una storia spiazzante e toccante che ha per protagonista un gruppo familiare molto anomalo. Persone legate da rapporti anomali che si svelano a poco a poco, soprattutto dopo che il ragazzino, educato a rubare nei negozi, si fa sorprendere con la refurtiva. Un film di piccole cose, di momenti delicati di cinema raffinato ed emozioni vere, che pone domande: cosa significa essere madre? Cosa significa educare? Ci si sceglie? Come si impara a essere famiglia? Kore-Eda coglie i gesti, le interazioni minime, ha il tocco delicato e una macchina da presa empatica con i personaggi. Per il regista di Maborosi, Distance, Nessuno lo sa, Father and Son, Little Sister e Ritratto di famiglia con tempesta, uno dei migliori lavori e il coronamento di una carriera.

Meritato anche il Gran Prix a BlacK Kluxman di Spike Lee, altro cineasta poco da festival. Una pellicola divertente e politica sul razzismo, un poliziesco comico con tanti riferimenti alla blaxploitation. Siamo a Colorado Springs nei primi anni ’70 e il giovane di colore Ron (John David Washington, figlio di Denzel) riesce a entrare in polizia e occuparsi di un’indagine sul Ku Klux Klan. Intraprendente e avventato insieme, riesce a instaurare un rapporto con il capo locale, ma li rivela il proprio nome. Così sarà il collega bianco Phil (Adam Driver) a doversi presentare agli appuntamenti e innescare una serie di fraintendimenti. Tra i momenti da ricordare la visione su fronti contrapposti, gli studenti neri e i suprematisti bianchi, di Birth of a Nation di David W. Griffith, rumoreggiando e accalorandosi per ragioni opposte. Harry Belafonte appare in un cameo memorabile affermando che il film fu «così potente che fece rinascere Kkk» e ricorda del linciaggio di Jesse Washington nel 1916.

Inattesa la Palma d’oro speciale a Jean-Luc Godard per Le livre d’image, un riconoscimento introdotto per la prima volta.

Una sorta di premio alla carriera per un cineasta come nessun altro, autore di saggi più che di film, di opere complesse e mai scontate, che necessitano di revisioni e riflessioni. Le livre d’image si muove tra il cinema (inizia con il Bunuel di Un chien andalou e finisce con l’Ophuls de Il piacere passando anche per tanto cinema italiano) e la politica, dalla Catalogna al mondo arabo, sollecitando un mondo sordo e cercando di riflettere sul linguaggio, istanza che gli è da sempre cara e che non smette di essere attuale.

Il favorito delle ultime ore, Capharnaum della libanese Nadine Labaki, ha ottenuto invece il Premio della giuria. Un riconoscimento importante ma non di primissimo piano per il film della regista, nota per Caramel, che in precedenza aveva ricevuto il premio della giuria ecumenica.

Un film che parla di profughi, siriani, etiopi e di altre provenienze, in Libano con un ragazzino che denuncia i genitori per averlo messo al mondo. Una domanda provocatoria per un film un po’ ricattatorio, con alcuni momenti belli (i due bambini costretti a cavarsela da soli in un mondo che cerca di fregarli) dentro una struttura zoppicante.

Tra le attrici è stata premiata la kirghisa Samal Yesyamova, protagonista del russo Ayka di Sergei Dvortsevoy, sulla favoritissima polacca Joanna Kulig Cold War di Pawel Pawlokowski, che si è consolato con la Palma per la regia. Quanto il russo sta con la camera sempre addosso alla sua eroina nel peregrinare per Mosca sotto la neve e rimediare qualche rublo, così il regista di Ida (e soprattutto di My Summer Of Love) è misurato e quasi piacione nel raccontare una storia d’amore impossibile ai tempi della Guerra fredda.

La Caméra d’oro come miglior esordio è andato al belga Girl di Lukas Dhont, una delle scoperte dell’annata, che ha ricevuto anche il premio Fipresci per la sezione Un certain regard e il premio per l’interpretazione a Victor Polster nella stessa sezione.

Resta a mani vuote, e non accadeva da parecchio, la Francia: En guerre di Stéphane Brizé sembrava tra i papabili con la sua storia di operai in lotta per difendere uno stabilimento dalla chiusura, ma è rimasto escluso. Fuori dai premi anche The wild pear tree del turco Nuri Bilge Ceylan (già vincitore con Il regno d’inverno) e Buh-ning – Burning del coreano Lee Chang-Dong, vincitore del premio Fipresci.

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