In questi tempi bui va recuperata la dimensione popolare del fare politica

Abbiamo chiuso, poco più di due settimane fa, il nostro Congresso. In quei giorni si avviava anche l’attività del nuovo Governo.

Nel pomeriggio della domenica in cui concludevamo i lavori, il nuovo Ministro degli Interni proclamava la chiusura dei porti italiani all’attracco dell’Aquarius e dava inizio, dalla sua posizione di membro dell’esecutivo, alla lunga serie di parole e azioni che ogni giorno (dalla schedatura dei Rom all’uso delle armi per legittima difesa) occupano la cronaca politica italiana ed europea.

La necessità di reagire, di far sentire la voce di tutti coloro che credono nei valori della solidarietà e dell’umanità hanno richiesto e richiedono indubbiamente – anche alla luce della reazione troppo mite, a nostro parere, delle forze politiche – uno sforzo di mobilitazione per la nostra associazione. E infatti, in tutte queste settimane, abbiamo organizzato presidi, manifestazioni, abbiamo preso ogni giorno posizione, rispondendo colpo su colpo alle bugie e alle parole di odio e della propaganda.

Eppure, come emerso dalla stessa riflessione del dibattito congressuale, sentiamo che questo non basta. I risultati delle ultime elezioni amministrative confermano che la fase è complicatissima con un traino leghista che cresce, che genera e lucra su meccanismi di abitudine. Il martellamento quotidiano del ministro della paura funziona e continua a produrre consenso.

Avevamo individuato, prima di altri, che la chiave del successo di questa strategia da sciacalli irresponsabili è la paura, che cresce quanto meno si mette mano al malessere e al disagio sociale diffusi.

Attorno a questo, nei tre giorni di Pescara abbiamo svolto una discussione sincera e reale. Tanti (più di 70) gli interventi: molti giovani e nuovi dirigenti, un rinnovato protagonismo delle donne. Ci siamo detti, anche analizzando ció che avevamo sbagliato e quello che dobbiamo correggere, che per affrontare questa fase occorrerà lavorare non per spot, non ‘inseguendo’ un’agenda dettata dagli altri. Serve e servirà un lavoro costante, quotidiano, di lunga lena, fuori dalle ‘emergenze’. Un lavoro nei nostri circoli, nei territori, recuperando dimensione e senso popolare del fare politica, che significa anche (non smetteremo mai di dirlo), ascoltare, capire e saper farsi capire.

Penso che la nostra stagione del tesseramento dovrà aprirsi proprio attraverso una campagna di ascolto, di partecipazione, di confronto.

Il lavoro nei territori, con i circoli, nei circoli è e sarà decisivo. Per questo occorrerà rafforzare e potenziare l’attenzione e la cura nei confronti del nostro radicamento territoriale. Questo dovrà essere uno degli obiettivi di lavoro a cui dovremo saper dare strumenti di realizzazione, su cui dovremo investire.

E penso che dovrà essere al centro dello sviluppo del programma di lavoro nazionale, che discuteremo nel Consiglio nazionale che terremo nella prima settimana di settembre. Anche in vista delle novità che dovranno essere affrontate in conseguenza delle norme attuative della riforma del Terzo Settore.

Usiamo queste settimane per riordinare le numerose sollecitazioni, elaborare e riflettere sul progetto culturale e politico che la nostra associazione metterà in campo per il prossimo mandato e che presenteremo alla politica, alle altre organizzazioni sociali.

Abbiamo di fronte sfide complicate, inedite e occorre meditare attentamente sulle strategie e le azioni adeguate a questi tempi bui.