La trattativa Stato-mafia ci fu

Il 20 aprile la Corte di Assise di Palermo ha pronunciato la sentenza del processo iniziato 5 anni fa sulla trattativa Stato – Mafia. Il boss mafioso Leoluca Bagarella è stato condannato a 28 anni di reclusione, il boss Antonino Cinà a 12 anni.

Marcello Dell’Utri, ex senatore di Forza Italia, Antonio Subranni e Mario Mori, ex vertici del Ros, condannati a12 anni.

Otto gli anni di detenzione per l’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno e per Massimo Ciancimino.

Il processo, aperto nel 2013, si è quindi concluso con una sentenza per certi versi ‘storica’: la negoziazione tra importanti funzionari dello Stato e rappresentanti di Cosa nostra per far cessare gli attentati e le stragi del 1992-93 ci fu.

Dovremo aspettare le motivazioni della sentenza, ma dalla requisitoria dei pubblici ministeri iniziata il 14 dicembre 2017 possiamo inquadrare lo scenario.

«Questo processo ha avuto peculiarità rilevanti che lo hanno segnato fin dall’inizio. La storia ha riguardato i rapporti indebiti che ci sono stati tra alcuni esponenti di vertice di Cosa Nostra e alcuni esponenti istituzionali dello Stato italiano».

Alcuni esponenti delle istituzioni «hanno ceduto, per paura o incompetenza, illudendosi che la concessione di una attenuazione del regime carcerario del 41 bis potesse far cessare le bombe e la devastazione di vite umane. Cosa che non avvenne».

«Una parte importante e trasversale delle istituzioni, spinta da ambizione di potere contrabbandata da ragion di stato», hanno continuato i pm, «ha cercato e ottenuto il dialogo e poi il parziale compromesso con l’organizzazione mafiosa».

«La trattativa era attesa, voluta e desiderata da Cosa Nostra. E in quel periodo c’era un comprimario occulto, una intelligenza esterna che premeva per la linea della distensione». Tutto questo «mentre Cosa Nostra continuava a cercare il dialogo a suon di bombe, con i morti per terra a Milano e Firenze, e sfregiando monumenti».

I magistrati hanno sostenuto che ci furono molti segnali volti a favorire la trattativa.

Tra questi, «la revoca e gli annullamenti del 41 bis», o «la mancata perquisizione del covo di Riina».

«Cedendo al ricatto, lo Stato si è messo nelle mani della mafia», hanno concluso i pubblici ministeri. Quindi è dimostrato che la trattativa ci fu, che autorevoli funzionari trattarono e ancora che nel ‘94 Dell’Utri era il collegamento tra Cosa Nostra e la politica nazionale. Resta ancora da scoprire chi furono i mandanti “politici” della trattativa prima del ‘93.

C’è una data che cambia la storia d’Italia e le relazioni tra mafia e politica: il 30 gennaio 1992. Il giorno in cui a Roma la Cassazione condanna i boss mafiosi al carcere a vita: è la prima volta che succede, nonostante i politici avessero assicurato il contrario. Si scatena la furia di Riina, il capo dei capi. Già dalla fine del 1991 il boss corleonese aveva cominciato a riunire i suoi per dettare la linea: in caso di pronuncia sfavorevole bisognava ‘pulirsi i piedi’. Bisognava, cioè, massacrare i politici che non avevano rispettato i patti. Il primo è Salvo Lima, ucciso il 12 marzo del 1992, un messaggio diretto ad Andreotti nel giorno in cui iniziava la campagna elettorale per le politiche. «Il rapporto si è invertito: ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola», scrive su La Stampa Falcone, poche settimane prima di saltare in aria a Capaci.

La sentenza del processo trattativa è un tassello importante perché consente alle diverse procure di indagare sul livello più alto che ordinò la linea della mediazione. Non solo, ma riscatta i magistrati impegnati nel processo di Palermo da una campagna denigratoria. Il sostegno alla magistratura da parte delle associazioni, dall’Arci alle Agende Rosse, da Libera a Scorta Civica è stato costante. Tuttavia occorre ridare vigore a un movimento antimafia che negli anni ha perso la capacità di tenere il livello più alto di allerta. Il rischio di un colpo di coda delle organizzazioni mafiose c’è tutto. Dobbiamo tenere alta l’attenzione mettendo in campo tutte le iniziative possibili e rafforzando una rete  territoriale  che continua ad operare anche se con enormi difficoltà.