Dal 1950 si celebra ovunque, il 7 aprile, la Giornata Mondiale della Salute, ma il problema è che i grandi passi avanti, fatti nei decenni trascorsi da allora, si stanno trasformando oggi in arretramenti molto preoccupanti per tantissimi motivi: guerre, pandemie, cambiamenti climatici, business della salute, riduzione delle risorse ecc.
Questi arretramenti sono purtroppo visibili anche nel nostro Paese con un sistema pubblico sempre più in difficoltà rispetto a come fu pensato e voluto nel 1978 il Sistema Sanitario Nazionale. E sono arretramenti vistosi, che riempiono pagine e pagine di giornali, a cui si dedicano continue inchieste televisive, che si dibattono in partecipati convegni ma che non vedono traduzione conseguente nelle azioni di governo. Anzi, nel 2025 avremo un ulteriore riduzione del Pil destinato alla Sanità che scenderà al 6,2% aumentando il gap negativo rispetto ad esempio alla media europea.
Gli indicatori di questo arretramento sono le sempre più lunghe liste d’attesa, l’incremento esponenziale della spesa a carico dei singoli cittadini, l’aumento (anch’esso esponenziale) della rinuncia alla cura a causa dei tempi d’attesa ma soprattutto dei costi, le ridotte politiche di prevenzione, la congestione dei pronto soccorsi, la carenza di personale (sia per i bassi salari che per le politiche di istruzione e formazione del nuovo personale), l’accesso e i costi delle rsa, il preferire percorsi di cura in struttura rispetto a percorsi inclusivi (budget di salute) nel campo della salute mentale, le diseguaglianze territoriali (tra regioni e regioni ma anche tra aree metropolitane e aree interne), la carenza di medici di medicina generale, le difficoltà di garantire la continuità assistenziale, la povertà della medicina di territorio che la Pandemia ha mostrato nella sua interezza, la chiusura di ospedali e punti nascita, le case di comunità spesso solo formalmente istituite da cartellonistica affissa sui contenitori ma con poco contenuto ecc., ecc.
L’Arci non poteva restare inerte e sempre più si è attivata nei territori ad essere parte, assieme a tante altre realtà associative, sindacali, comitati informali, politiche, nella denuncia e contrasto di queste gravi lacune e nel difendere il SSN in riferimento all’Art. 32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”
Purtroppo, come hanno evidenziato anche 14 grandi scienziati italiani (da Garattini a Darandin ecc.) sui media nei giorni scorsi in un loro intervento a difesa del SSN, l’articolo 32 rischia di diventare una chimera in quanto il Pubblico rimane garante per i cittadini nelle attività di emergenza, ma arretra pesantemente sotto la spinta del Privato nel campo della diagnostica, delle visite specialistiche portandoci “verso il modello USA, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni). La spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute.”
In questo quadro devastante si inserisce il depauperamento del vero patrimonio della Sanità Pubblica: le donne e gli uomini che operano la cura. Ci si è già dimenticata la fase pandemica in cui venivano declamati come “eroi” con tanto di murales a loro dedicati su molte facciate di ospedali. Oggi si arrabattano tra turni infernali, stipendi sottopagati, cittadini “arrabbiati” e politiche di “mantenimento e ricambio” di questo patrimonio umano ridicole. Non vi tedio con le storie di personale in fuga e mi limito ad un passaggio che mi tocca personalmente. Tutti sappiamo che vi è una gravissima carenza di infermieri, ad esempio, e quali politiche si stanno attuando per rispondere a questo bisogno? Prendiamo la provincia di Bergamo, una delle provincie più popolose d’Italia con oltre 1.100.000 abitanti. Questa provincia non aveva, fino al 2023, nessun corso universitario per scienze infermieristiche. Nell’ottobre 2023 è partito il primo anno di tale materia grazie all’Università di Brescia con la creazione di un polo distaccato ad Alzano Lombardo (paese purtroppo famoso per essere il luogo di partenza della pandemia che devastò la bergamasca). Tale corso è a numero chiuso per soli 25 studenti. Durante questo primo anno (mia figlia è una delle frequentanti) già ha visto alcuni studenti ritirarsi, ma anche se così non fosse avremo i primi 25 infermieri formati nella bergamasca nell’anno 2028. E non è che ne verranno sformati molti di più nel resto delle provincie lombarde e italiane. Possiamo chiamare questo processo come una “corretta pianificazione del futuro”? E questa mancanza di vision è su tutta la filiera del personale di cura
Rispetto alle nostre richieste di rafforzare le risorse destinate al SSN come nei paesi europei più avanzati, di costruire una pianificazione che garantisca numericamente e qualitativamente il personale di cura ecc., ecc. ci sentiamo a volte rispondere da economisti “che le risorse non sono illimitate”. Noi concordiamo che le risorse non siano illimitate ma è una questione di scelte: ad esempio quale è stato l’incremento delle spese militari? Oppure come mai si riducono le risorse per la prevenzione che ridurrebbe notevolmente le conseguenti spese di cura sia per ricoveri che per trattamenti farmacologici? Inoltre ricordiamoci che la salute non incide solo sul singolo cittadino ma è un fattore fondamentale di quella che chiamiamo “coesione sociale”.
Ecco perché è importante mobilitarsi ovunque per difendere il nostro prezioso Sistema Sanitario Nazionale