dal Libano con Arci Empolese Valdelsa e Arci Toscana

Una delegazione di Arci Empolese Valdelsa e Arci Toscana in Libano dal 1 al 6 Marzo. 

Mentre una delegazione nazionale guidata da Arci, AOI e Assopace Palestina composta da parlamentari, ONG e associazioni raggiunge il valico di Rafa, una delegazione di Arci Empolese Valdelsa e Arci Toscana raggiunge il Libano per vedere da vicino i risultati del progetto Made on Border, visitare alcuni campi profughi palestinesi a tra Beirut e Tripoli e portare i fondi raccolti dal Circolo Arci Petroio e alcuni attivistƏ del territorio Empolese Valdelsa.

DIARIO DEL VIAGGIO 

Giorno 1

Prima giornata di incontri per la nostra delegazione. Questa mattina siamo arrivati dove tutto è cominciato, tre anni fa: il centro di ricamo di Shatila. Grazie a Sara e Hind di Beit Atfal Assumoud بيت اطفال الصمود abbiamo visto come lavorano le donne e come trasmettono il loro sapere alle nuove ricamatrici. È stato un momento emozionante, ma anche l’occasione per portare la solidarietà del nostro territorio nel cuore della comunità palestinese in Libano.

Grazie alle donazioni ricevute dal Circolo Arci Petroio e da alcunə attivistə nelle scorse settimane, abbiamo acquistato alcuni prodotti da distribuire attraverso il comitato Arci Empolese Valdelsa e finanziato il lavoro del centro. Più tardi abbiamo visitato il campo profughi e il quartiere Sabra, dove si trova il mausoleo che ricorda il massacro perpetrato dalle milizie falangiste con la complicità dell’esercito israeliano nel 1982. Un monumento alla persecuzione a cui è sottoposta la popolazione palestinese da decenni, ma anche alla sua forza e alla capacità di resistere e rinascere. Nel pomeriggio abbiamo incontrato alcuni ex combattenti della guerra civile libanese, che hanno creato l’associazione Fighters for Peace. Grazie al racconto dei testimoni diretti di quel conflitto fratricida abbiamo ripercorso uno dei momenti più bui della storia libanese e rinnovato l’impegno per la giustizia e la pace. La giornata si è conclusa con la visita a quartiere di Gemmayzeh, che ancora si porta addosso le ferite provocate dall’esplosione al porto di Beirut nell’estate del 2020.

Giorno 2 

Oggi ci siamo spostati da Beirut a Tripoli, principale città nel nord del Paese. Una realtà molto diversa dalla capitale.Qui l’afflusso di profughi siriani in fuga dalla guerra civile è stato più massiccio che altrove e non ha mancato di generare tensioni sociali.Dei problemi che affliggono questo territorio abbiamo discusso con un grande amico dell’Arci, Borhan Arja, musicista e operatore sociale. Bohran ha collaborato con un importante progetto di musica rap per i giovani del quartiere tripolino di Bab El Tebbaneh, dall’Arci con la partecipazione degli Assalti Frontali.Bohran ci ha spiegato della difficoltà a lavorare con i ragazzi e le ragazze negli ultimi anni a causa del peggioramento della situazione politica ed economica. Ma anche delle guerre in Siria e in Palestina. La mancanza di speranza e di prospettiva è il principale ostacolo allo sviluppo sociale e all’emancipazione giovanile.

Giorno 3

Oggi giornata molto intensa, sia fisicamente che emotivamente. Questa mattina abbiamo visitato il campo profughi di Beddawi, a pochi chilometri a nord di Tripoli. Si tratta di uno dei campi con la maggiore densità abitativa in Libano: 20mila abitanti su una superficie di 1 km quadrato. Coronavirus prima e crisi economica poi hanno peggiorato le condizioni di vita, anche se il problema principale in questi mesi è rappresentato dalle ripercussioni psicologiche del genocidio in atto a Gaza. Come ci hanno spiegato gli operatori del centro di salute mentale molti bambini e bambine risentono delle tensioni familiari legate alle preoccupazioni per il conflitto in corso. In tarda mattinata abbiamo visitato il vicino campo profughi di Nahr El Bared, uno dei due più grandi del Paese. Qua, dopo gli scontri del 2007, i residenti sono scesi a 40mila e ancora un terzo di abitazioni sono distrutte. Le condizioni economiche e sociali, anche a causa della riduzione dei fondi Unrwa, rimangono disastrose. Sopravvivere è difficile, mantenere viva la speranza ancora di più. Qui, un display montato nella piazza principale fornisce le principali notizie che riguardano Gaza. Mentre da un auto parcheggiata la radio rilancia i notiziari. Nel pomeriggio abbiamo visitato un altro luogo caldissimo di Tripoli e di tutto il Libano. Il quartiere di Bab El Tebbaneh, dove Arci Toscana supporta un centro giovanile per bambini lavoratori, è il fulcro degli scontri tra sunniti e sciiti alawiti. Una situazione di conflitto vivo, con continue sparatorie dai terrazzi dei palazzi e per le strade, rende l’esistenza degli abitanti durissime.

Giorno 4

Oggi abbiamo incontrato un amico fraterno di Arci, il presidente di Beit Atfal Assomoud: Kassem Aina. Una persona con cui la nostra associazione ha costruito negli anni un processo di scambio e cooperazione che è un anello inscindibile del suo impegno per la causa palestinese. I progetti “Made in Shatila” e “Made on Border”, infatti, sono pezzi di un percorso che Arci ha iniziato tanti anni fa e che nel corso del tempo è maturato e si è evoluto dentro e fuori dalla Palestina. Con Kassem stamani abbiamo parlato della situazione dei profughi palestinesi in Libano. Della disoccupazione che attanaglia l’80% di loro, della scarsità dei servizi messi ancora più a repentaglio dal taglio insensato dei fondi ad Unrwa da parte dei principali finanziatori occidentali, della crescita esponenziale dei bisogni, della crisi economica che attraversa il Libano e che rende il quadro ancora più drammatico. Abbiamo parlato anche del genocidio in atto nella Striscia di Gaza e della necessità di arrivare ad un cessate il fuoco immediato. Per i gazawi, ma anche per chi vive all’estero perché l’orrore pervade ogni palestinese. Abbiamo discusso di prospettive per il futuro, di quanto la solidarietà dei popoli giochi un ruolo fondamentale per ristabilire giustizia e pace.

E poi abbiamo parlato di speranza. E quando abbiamo parlato di speranza, Kassem ci ha detto:
“Al netto di tutto sono più ottimista oggi di quanto non lo sia stato in passato. Nutro la fiducia che non io, ma i nostri figli potranno tornare nella nostra terra e vivere in pace da donne e uomini liberi”.