Conoscere, partecipare, agire: queste le chiavi sulle quali si è fondata l’ideazione del seminario dell’Arci Non c’è pace senza disarmo che hanno riecheggiato, con accenti e modalità differenti, gli interventi che si sono alternati durante la giornata.
Il programma è stato ricco e di qualità, gli ospiti rappresentano tutti uno spaccato di quella expertise militante che caratterizza oggi il movimento pacifista nel nostro Paese, il tema scelto è uno dei più significativi per dare al concetto di pace la necessaria concretezza politica.
Dalla sessione dedicata alla conoscenza degli elementi di contesto emerge la necessità di continuare a promuovere tutte le occasioni di approfondimento del quadro globale in cui si collocano le aree di crisi del pianeta, proseguire nell’impegno di una contronarrazione che fornisca materia di analisi e azione sia sull’incidenza che la corsa al riarmo produce sui conflitti nel mondo, sia rispetto alla messa in campo di campagne e iniziative locali e globali.
Abbiamo la necessità di divulgare sempre più fatti e notizie che segnano chiavi di interpretazione della realtà: che il nostro Paese sia in prima fila nell’export della armi – anche verso Stati in guerra contro altri – costituisce non solo una palese violazione di una delle nostre leggi ma squarcia il velo dell’ipocrisia rispetto al Made in Italy buono e bello; la crescente allocazione di dotazioni economiche nei capitoli della difesa svela come oggi la guerra irrompe nelle manovre economiche, sottraendo preziose risorse al welfare, alla sanità e istruzione pubblica, alla lotta contro le povertà, demistificando e rendendo evidente il passaggio dalla spending review alla realpolitik.
Il capitolo sul disarmo atomico apre un’altra importante finestra di riflessione, non solo perchè viene indicato come destinatario del riconoscimento del Premio Nobel – segnando quindi un’imprescindibile conditio sine qua non per il raggiungimento della pace – ma soprattutto perchè indica nell’azione quotidiana di centinaia di associazioni e reti della società civile mondiale che aderiscono alla campagna ICAN un modello virtuoso di organizzazione, sia per l’azione divulgativa, che per la partecipazione collettiva e globale.
Le questioni sono quindi tutte sul tavolo, abbiamo competenze ed esperienze diffuse di qualità. Come possiamo far interagire le nostre proposte col mondo dei decisori politici? Come possiamo rendere più partecipativo e mobilitante il movimento per la pace e il disarmo? Abbiamo cercato di rispondere nella seconda sessione del seminario, nella quale è stato evidenziato come l’attuale fase è profondamente differente dagli anni di cui molti ricordano le grandi manifestazioni contro la guerra.
La capacità di mobilitazione ha avuto un brusco ridimensionamento, la rappresentanza politica nelle istituzioni segna da tempo sia un minore interesse verso i temi del pacifismo sia una difficoltà a sfondare il muro di enormi interessi che gravitano nelle dinamiche del riarmo e rendere effettivo il ruolo di controllo parlamentare nelle decisioni governative, molte delle quali hanno obbligazioni sovranazionali.
Così iniziative pregevoli come la controfinanziaria – redatta ogni anno dalla Campagna Sbilanciamoci -, la raccolta di firme della proposta di legge d’iniziativa popolare Un’altra difesa è possibile o la campagna per la moratoria delle armi nucleari Italia ripensaci, sembrano destinate a non generare risultati commisurati alla qualità delle proposte.
Tuttavia c’è ancora uno spazio immenso da percorrere, costituito dall’educazione e formazione delle giovani generazioni, così come l’attenzione verso le vertenze proposte dai territori, che invocano lo smantellamento delle basi militari o la riconversione dell’industria bellica: possiamo ripartire da qui, senza tralasciare il lavoro che si è fatto e si continuerà a fare, ma rendendo virtuosa la circolarità tra locale e globale.