Nota dell’Arci sulla direttiva, emanata il 23 luglio 2018 dal Ministro Salvini sui ‘Servizi di accoglienza per i richiedenti asilo’.

La Direttiva fa carta straccia degli impegni presi per la promozione dell’accoglienza diffusa e integrata

Il Ministro Salvini da tempo dichiara di voler intervenire sul sistema di prima accoglienza per ridurne i costi e razionalizzare i servizi.

Obiettivi che l’ARCI condivide ma che l’intervento delineato nel testo di Direttiva non sembra poter ottenere, se non con conseguenze pesanti sulle persone e sulle comunità locali che accolgono i centri.

Anziché lavorare al superamento dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) – la cui straordinarietà non è ormai più giustificata e la cui natura giuridica disattende la Direttiva 2013/33/UE  recante “Norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale” –  ordina una razionalizzazione dei servizi e una riduzione della spesa.

Nella circolare il Ministro ammette che i richiedenti protezione internazionale sono costretti a rimanere nelle strutture di prima accoglienza per periodi lunghissimi (2 anni e mezzo). Tempo che il Ministro chiede venga trascorso senza alcun intervento volto a promuovere percorsi di integrazione sostenibili: corsi di lingua italiana, corsi di formazione, tirocini. La circolare chiede di fatto di smantellare qualsiasi tipo di intervento per l’inclusione sociale dei richiedenti asilo e prevederli soltanto dal momento dell’eventuale ottenimento di una forma di protezione. In questo modo chi otterrà un titolo di soggiorno, e quindi potrà rimanere nel nostro Paese, dovrà avviare in ritardo il processo di integrazione sociale e lavorativa, con un evidente spreco di tempo e risorse pubbliche. Obbligare le persone a non far nulla per lunghi periodi, vuol dire infierire sullo stato di precarietà, sfiducia e vulnerabilità che spesso accompagna le condizioni di chi chiede asilo.

Il richiedente asilo, trascorsi due mesi dal rilascio del primo permesso, ha diritto ad esercitare attività lavorativa. Egli è titolare di un permesso di soggiorno che legittima la sua permanenza sul territorio italiano e parlare di ‘diritto di permanenza indistinto’ riconosciuto a chi non ha titolo è una grave inesattezza. Una bugia che alimenta l’immagine negativa del diritto d’asilo e dei richiedenti, e che serve solo sul piano propagandistico. Il diritto a permanere è strettamente legato a quello a soggiornare. Più gli interventi volti all’inclusione sono di qualità e sostenibili più la temporanea permanenza può diventare un soggiorno di lungo periodo.

Se Salvini volesse far risparmiare il nostro Paese dovrebbe ridurre i tempi d’attesa, incomprensibilmente lunghi per responsabilità della pubblica amministrazione e in particolare del Ministero da lui presieduto.

Per accedere alla procedura asilo, cioè per presentare la domanda, passano a volte anche 6 mesi. Ancora un anno, in tante province, per l’audizione con la Commissione Territoriale e altri lunghi mesi, a volte anche un anno, per ricevere la risposta – notifica – dell’esito del colloquio. Una vera follia. Questa inefficienza della macchina organizzativa produce spreco e non garantisce  i diritti delle persone come lascia intendere la Direttiva.

Il Ministro sceglie di voltare le spalle agli impegni presi precedentemente dal ministero che rappresenta, mettendo in campo provvedimenti a favore dei centri collettivi. Ghetti che, per le somme ingenti delle gare d’appalto, fanno gola a tanti soggetti che nulla hanno a che vedere con l’accoglienza e la tutela dei richiedenti asilo, nè tanto meno con gli interessi delle comunità locali.

Vedremo quanti di questi grandi centri verranno realizzati nelle regioni dove governa la Lega: Veneto, Lombardia e Liguria.

La Direttiva fa carta straccia degli impegni presi per la promozione dell’accoglienza diffusa e integrata.  A maggio 2017 presentammo, in occasione del Festival Sabir a Siracusa, le linee guida ‘Impegnati per la buona accoglienza’ con le quali abbiamo promosso un percorso di riflessione con  Ministero dell’Interno e Anci per il superamento dei centri collettivi e la promozione del modello Sprar come unico e unitario, centrato sull’accoglienza diffusa, il coinvolgimento attivo e volontario degli Enti Locali e dunque una partecipazione consapevole delle comunità ospitanti.

La priorità del Ministro Salvini è mettere in strada il maggior numero di persone. Possibilmente privi di un permesso di soggiorno. E quindi perfette vittime degli sfruttatori, del lavoro nero e della criminalità organizzata. I rimpatri e le espulsioni costano troppo, lo dice anche la relazione della Corte dei Conti da lui citata ‘rimpatriarli è complesso e oneroso’.

La strada che sta tracciando – seguendo la tradizione dei governi di destra – il Ministro Salvini, è quella di produrre irregolarità per poi proporre una futura grande sanatoria di tutte e tutti gli ultimi privati dei loro diritti, sfruttati e poi riammessi nel circuito della legalità, raggirati e ricattati dallo Stato e dai datori di lavoro.