Indennità di discontinuità: conferenza stampa sul mancato rispetto della delega data al Governo dal Parlamento

Sono intervenuti: Sabina Di Marco (SLC/CGIL), David Ghollasi (Coordinamento Discontinuità), Alberto “Bebo” Guidetti (La Musica Che Gira), Manuela Martignano (La Musica Che Gira), Vittoria Puccini (UNITA), Francesco Bolo Rossini (UNITA), Marco Trulli (ARCI)

Il diritto affermato dal Parlamento per centinaia di migliaia di lavoratori e di lavoratrici dello spettacolo è stato trasformato dal Governo in un misero bonus esigibile da una platea incredibilmente più piccola di quella prevista. Niente di quello che il Governo Meloni ha dichiarato sul tema nelle ultime settimane corrisponde al vero. 

Ancora una volta ignorato un intero settore produttivo del Paese, che non intende stare in silenzio mentre viene platealmente preso in giro.


Si è tenuta oggi, giovedì 12 ottobre, presso il Comedian Cafè del Teatro Quirino di Roma, la conferenza stampa indetta da SLC/CGIL, UNITA, La Musica Che Gira, ARCI e Forum Arte e Spettacolo, per esprimere la forte preoccupazione del settore riguardo il mancato rispetto della delega data al governo dal parlamento sull’indennità di discontinuità 

Sono intervenuti: Sabina Di Marco (SLC/CGIL), David Ghollasi (Coordinamento Discontinuità), Alberto “Bebo” Guidetti (La Musica Che Gira), Manuela Martignano (La Musica Che Gira), Vittoria Puccini (UNITA), Francesco Bolo Rossini (Unita), Marco Trulli (ARCI). 

La conferenza è stata indetta per esternare uno stato di profonda preoccupazione del settore rispetto allo schema di decreto del governo che vanifica non solo due anni di confronto parlamentare ma anche di confronto con le parti che dopo la pandemia sono riuscite ad incontrarsi e lavorare insieme trovando una strada è un percorso comune.

Il Governo Meloni ha trasformato una misura strutturale che finalmente avrebbe reso i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo e del settore creativo uguali a quelli degli altri settori, riconoscendo il lavoro indispensabile delle fasi di studio e progettazione, come imprescindibili e necessarie anche in termini contributivi. Quel lavoro non visibile al pubblico, ma che è indispensabile per ogni concerto, ogni spettacolo, ogni esibizione, è riconosciuto dall’indennità di discontinuità: un diritto dei lavoratori e delle lavoratrici stabilito dal Parlamento.

Le agenzie contenenti le dichiarazioni di diversi membri del Governo nelle scorse settimane, al netto dei toni entusiasti di chi prova a vendere un miracolo politico che non esiste nella realtà, rendono chiaro che la delega del Parlamento al Governo è stata tradita in maniera sostanziale. La platea degli aventi diritto ha subito una scandalosa riduzione così come le coperture economiche destinate. Una sciagurata scelta del Governo che in questo modo si prepara a ridurre uno strumento vitale – al quale le realtà del settore, la politica, i sindacati hanno dedicato anni di confronti e lavoro – in un misero bonus, una forma di sostegno ai redditi più fragili che nulla ha a che vedere con la riforma del sistema di previdenza e delle tutele sociali che a chi lavora  nel settore creativo erano state riconosciute dal Parlamento con l’approvazione della legge di delega n. 106/2022.  

Una platea che passa da più di 300.000 persone a poco più di 20.000 persone, nessun effetto positivo sull’emersione del lavoro nero, nessuna misura strutturale, nessun riconoscimento della nostra professionalità. Solo l’ennesimo contentino con il quale il Governo forse spera di zittirci. Ma abbiamo chiesto una riforma e non staremo zitti fino a quando non la otterremo. 

Questi gli interventi emersi durante la conferenza stampa: 

L’indennità di discontinuità era stata pensata e introdotta all’interno della legge delega come strumento universale di tutela previdenziale specifica per il settore e sostenuta da un’indennità economica e un riconoscimento previdenziale per momenti importanti del nostro lavoro anche se non si svolgono sul palco. Il governo ha quindi disatteso la delega che aveva ricevuto dal parlamento trasformando una misura che era di fatto strutturale in quello che possiamo definire al massimo un bonus, un ennesimo tentativo di darci qualche spicciolo per sostenere  una platea molto ridotta da quella prevista dall’indennità di discontinuità. Ma non si può prendere qualsiasi tipo di sostegno, chiamarlo “indennità di discontinuità” e pensare che i destinatari non si accorgano che non si tratta affatto della misura approvata per legge. Lo schema di decreto del Governo va ritirato.”

Manuela Martignano (La Musica Che Gira)

Pensiamo che sia arrivato il momento di chiedere a gran voce che siano riconosciuti i nostri diritti, metterci insieme e costruire un percorso a cui stiamo lavorando da molto tempo, per dimostrare la nostra unità. Infatti la cosa su cui giocano i diversi governi è la frammentazione, ma noi sappiamo che c’è un filo conduttore che ci unisce, fatto di incontri, approfondimenti, di una visione chiara di questo settore e di quello che potrebbe essere. Vogliamo dare una visione complessiva di sistema. Un’altra cosa che il governo non ha capito è che l’indennità di discontinuità per come l’abbiamo pensata noi avrebbe la possibilità di autosostenersi. Continuano a dirci che non ci sono i soldi, che il problema è “come finanziarla” e questo significa che non hanno capito che si può entrare nel meccanismo virtuoso che consente l’autosostentamento del settore. Oggi vogliamo dare un segnale forte perché non siamo rassegnati, non siamo affatto abbattuti da quello che è successo, ma pronti a tornare a discutere.

Sabina Di Marco (CGIL) 

Il Coordinamento Discontinuità ha prodotto un documento che rigetta completamente lo strumento immaginato dal governo, che è non solo inadeguato, ma anche politicamente sbagliato. In questo paese o produci e lavori o non ti spetta un euro, è l’idea di fondo della politica che ora sta toccando anche noi. È un’idea sbagliata politicamente ed è un’idea che fa fare molti passi indietro rispetto al lavoro costruito nelle piazze in questi tre anni di lotte, che mirava ad estendere il reddito dei lavoratori dello spettacolo e non a ridistribuire parte di esso. Crediamo che ci sia bisogno di costruire di nuovo insieme un percorso che faccia fare passi indietro al governo e credo che dobbiamo farlo nei momenti di approfondimento, sui posti di lavoro, nelle piazze, parlando con colleghi e colleghe. Questa è una misura che non solo è insufficiente e fa male al settore, ma anche una misura che va a minare quelle che sono le misure a sostegno del reddito dei lavoratori e lavoratrici dello spettacolo.

David Ghollasi (Coordinamento Discontinuità)

Il decreto, rispetto alla previsione di 330mila beneficiari, restringe la platea a 20/25mila nelle migliori prospettive. Da una misura universale che riguardava il mondo dello spettacolo a tutto tondo è diventata l’ennesimo bonus post Covid. Il lavoro dello spettacolo è un lavoro atipico e che si fonda su periodi di occupazione percepibile nel momento nella rappresentazione e periodi  di ideazione e di produzione. Non riconoscere che questo sia comunque lavoro è tipico di una cultura storica che abbiamo in Italia di non riconoscere l’arte come un mestiere. Questo è segno di pregiudizio o incomprensione o mancanza di conoscenza di questo mondo con l’inserimento di una misura il cui contributo viene corrisposto dopo un anno ed addirittura peggiorativa rispetto alla NASPI.

Marco Trulli (ARCI) 

Se tutto questo fosse un titolo di un film sarebbe “Che fine ha fatto la discontinuità?”, perché sembravamo ad un passo dal traguardo, attendevamo i decreti attuativi che avrebbero portato a compimento questo percorso. Invece è stata presentata una misura in Consiglio dei Ministri che disattende completamente il senso con cui invece era stata pensata. È assolutamente  necessario che ci sia oggi la volontà di ascoltare veramente la voce del lavoratore, di costruire una misura strutturale permanente ed efficace, studiata e costruita ad hoc su quelle che sono le caratteristiche specifiche del nostro lavoro. Non possiamo rimanere indietro mille passi rispetto al resto dell’Europa in termini di diritti e di tutele dei lavoratori, anzi proprio da queste bisognerebbe partire se si vuole garantire lo stato di salute del nostro settore. Chiediamo di vivere dignitosamente del nostro lavoro, vogliamo che il professionismo venga riconosciuto ed incentivato, che ci sia l’emersione del lavoro nero, vogliamo essere nella condizione di svolgere il nostro lavoro al meglio nell’ottica di aumentare la qualità di ciò che produciamo per rendere il nostro settore, quello dello spettacolo, più forte e competitivo a livello internazionale.

Vittoria Puccini (UNITA)

Ci sono due dati oggettivi da evidenziare oggi. Il primo è che ci siamo ritrovati: in questo momento tutte le sigle che il comitato di discontinuità raccoglie sono estremamente concordi nell’unico percorso possibile, quello della tabula rasa, del rigettare la proposta del governo e farla riscriverla ex novo. L’altro è che il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, l’esponente del governo che ha scritto la misura della discontinuità, ieri ha detto “Sono d’accordo con voi, l’unica modalità di discontinuità possibile è quella che proponete voi”. Questo dato è importante perché toglie l’ultimo dubbio che avevamo che non avessero capito. Nel momento in cui mi dici “sì ho capito che questa è l’unica strada possibile”, significa che vengono escluse tutte le altre possibilità. Ma poi viene aggiunto che non si può procedere alla sua attuazione per tanti motivi, uno, ad esempio, è che non ci sono i soldi, anche se noi sappiamo che la discontinuità che è presente nel decreto spettacolo ha già previsto 100 milioni per la sua partenza. La soluzione secondo noi è ritirare questa proposta, essendo una bozza, e procedere a riscriverla. Abbiamo ancora qualche mese, possiamo iniziare con i pochi soldi che ci sono e fare una misura sperimentale dove si cominciano a vedere gli effetti.

Francesco Bolo Rossini (UNITA)

La frammentazione del nostro settore era dovuta anche dalla difficoltà nel riconoscersi. In questo momento non c’è più ed è importante anche per i governi che abbiamo davanti: è un’occasione anche per loro per costruire qualcosa di portata storica in un settore che finora è stato regolamentato da leggi estremamente vecchie e poco sostenuto. Momenti come questo sono utili per costruire quello che deve essere il futuro della categoria in senso largo, non solo per le facce che salgono sui palchi e sono riconoscibili, ma soprattutto per il 99,9% delle persone che non salgono sul palco e rappresentano le fondamenta del settore produttivo.

È necessario riuscire a democratizzare la dignità del lavoro. Ci rendiamo conto che con governi che hanno poco a cuore le due parole “dignità” e “ lavoro” sia un po’ più complicato, ma il percorso fatto negli ultimi tre anni è stato quello di costruire con le istituzioni una proposta di legge condivisa e larga.

Alberto “Bebo” Guidetti (La Musica Che Gira)