Così le giovani palestinesi sfidano l’esercito israeliano

Ahed Tamini, 17 anni compiuti il 31 dicembre, è stata arrestata il 19 dicembre scorso, il giorno dopo anche la madre Nariman e poi  Nour e  Manal, tutte di Nabi Saleh. Un villaggio di 600 persone nei territori occupati palestinesi dove il governo israeliano, oltre a costruire  la colonia di Halamish, ha permesso ai coloni di impadronirsi della fonte di acqua del villaggio, ed è per riprendersi l’acqua che nel villaggio dal 2009 vi  sono manifestazioni pacifiche represse dall’esercito israeliano.

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La  colpa di Ahed è quella di essere consapevole del suo diritto alla libertà e di lottare per essa. Ha osato schiaffeggiare un soldato dopo che il cugino di 15 anni Mohammed era stato ferito, si trovava in coma all’ospedale e i soldati volevano entrare nella casa di Ahed.

Contro di lei si sono scatenati ministri, vice ministri, coloni, giornalisti e da ultimo l’ex ambasciatore israeliano negli Usa, Michael Oren, attualmente vice ministro nel governo di Netanyau che è arrivato a sostenere che la famiglia Tamimi non esiste, è pura invenzione e la loro è solo una recita per accattivarsi le simpatie dell’opinione pubblica; per questo le ragazze vestono all’americana . Il tutto per difendere l’onore dell’esercito.

Nel profondo razzismo israeliano che presenta i palestinesi come fumatori di narghilè e le donne sottomesse e velate, Ahed come Nour, rompono ogni stereotipo, Ahed è bella, capelli quasi rossi, riccia, affronta il pericolo e non ha paura dei soldati che invadono il villaggio e sparano. Deve essere punita, così come devono essere puniti tutti quelli che anelano alla libertà e sono disposti a resistere. Ogni giorno giovani vengono arrestati e tenuti per settimane senza contatti, come i due figli di Manal, Mohammad e Osama, da giorni sotto interrogatorio non della polizia ma dello Shin Bet in carceri al Nord di Israele, illegalmente visto che la convenzione di Ginevra prevede che la popolazione sotto occupazione non può essere trasferita nel paese occupante. I giovani sono il target, sono più di 400 i minori incarcerati. Ahed è diventata un simbolo: manifestazioni in tutto il mondo, la petizione di Avaaz per la sua liberazione e quella dei minori incarcerati ha superato un milione e duecentomila firme, le giovani ragazze di Bil’in cantano “Siamo tutte Ahed” e sfidano i soldati. Il  poeta e drammaturgo israeliano Jonathan Gefen ha dedicato una sua poesia ad Ahed: «Ahed Tamimi/con i capelli rossi/come Davide che ha schiaffeggiato Golia/sarai menzionata nella stessa riga/come Giovanna d’Arco, Hannah Szenes e Anne Frank», scatenando le ire del Ministro della Difesa Lieberman (un colono) che ha chiesto alla radio dell’esercito di censurare ogni programma con Gefen e suggerito ai media di bandirlo,  mentre scriveva su fb: «Lo Stato di Israele non dove offrire un palcoscenico a un ubriacone che paragona una ragazza che è stata uccisa nell’Olocausto e un’eroina che ha combattuto il regime nazista, ad Ahed Tamimi, la ‘bambolina’ che ha attaccato un soldato».

Nell’ultima udienza il giudice della Corte Militare ha deciso che il processo di Ahed deve essere fatto a porte chiuse, ed ha cacciato giornalisti e diplomatici.

Netanyau però si sente super protetto e non solo dal Presidente Trump, ma anche dai governi che deplorano il comportamento israeliano ma continuano ad essere complici dell’occupazione e della colonizzazione e che buttano a mare ogni legalità internazionale.