Ancora una volta sul corpo delle donne. Non ci eravamo certo illuse di fronte alla dichiarazione «il ddl Pillon è archiviato» del sottosegretario di Stato Vincenzo Spadafora. Ci era evidente che si trattava dell’ennesima boutade di un Governo che trasforma tutto in propaganda o – come in questo caso – in una clava da usare ai danni del partito alleato di Governo in una logica tutta interna alla compagine gialloverde.

Fatto sta che non c’è tema che non finisca in questo trita tutto, il cui effetto è rendere tutto opaco, confuso e la dialettica parlamentare e politica viene di fatto azzerata. Il ddl Pillon è tornato in Commissione Giustizia, rinviato poi a settembre, ma l’intenzione è quella di far proseguire il suo iter, magari accorpandolo con altri testi.

In ogni caso, qualsiasi testo che ponga le proprie basi su un disegno di legge tanto tremendo non potrà che essere irricevibile. In questi mesi si sono ignorati tutti i commenti critici sul testo, provenienti da giuristi, associazioni, centri antiviolenza e chiunque abbia a cuore la civiltà giuridica del nostro Paese.
Al netto della propaganda che come approccio coinvolge tutta l’iniziativa del Governo, ci scontriamo poi con una politica che ha dimenticato completamente il tema del sostegno alle donne, non sostiene il lavoro femminile, i servizi all’infanzia.

Si propongono invece con tenacia e costanza inusuale iniziative che sostengono l’idea della famiglia e delle donne nella loro accezione più stereotipata e superata.
Anziché bandierine ideologiche da sventolare alle feste di partito, o probabilmente temi da utilizzare in una imminente campagna elettorale, la società avrebbe bisogno di proposte concrete sulla sanità, sulle politiche sociali di sostegno alle famiglie, sulle adozioni, ma il Governo preferisce percorrere la strada più semplice, che è anche quella più violenta e maschilista.