Tra le macerie del CPR di Milo: voci da un’indegna reclusione

Il report di Arci, Arci Porco Rosso, ASGI, Borderline Europe, LasciateCIEntrare, Maldusa, Mem.Med - Memoria Mediterranea

Riteniamo indispensabile un resoconto di quanto accaduto al CPR di Milo nell’ultima settimana di gennaio, ricostruito grazie alle testimonianze delle persone trattenute.

Nel primo pomeriggio del 22.01.2024, è stata avviata un’azione di protesta da parte delle persone trattenute all’interno del CPR di Milo (TP), volta a denunciare le indegne condizioni di reclusione, e l’ingiustizia dei rimpatri forzati. Da quel momento, secondo le testimonianze raccolte anche in occasione di una visita presso il CPR in accompagnamento di una parlamentare, le persone ancora trattenute continuano ad essere invisibilizzate, private della loro libertà personale costrette in condizioni materiali indegne.

In seguito all’incendio, diverse persone venivano trasferite in altri CPR, tra cui quello di Roma – Ponte Galeria. Proprio in quest’ultimo, Ousmane Sylla un ragazzo guineano di 22 anni proveniente dal CPR di Milo, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo.

La detenzione amministrativa: un sistema da abolire e denunciare

Premettendo che la detenzione amministrativa non dovrebbe esistere, che costituisce una violenza di per sé orribile e non giustificabile in alcuna forma, quanto accaduto nei giorni scorsi mette in luce ancora una volta l’inadeguatezza strutturale del sistema di detenzione amministrativa italiano. La privazione sistematica della libertà personale di persone provenienti da paesi di origine politicamente ridefiniti come “sicuri”, per di più in condizioni indegne, nella mancanza di informazioni sulle motivazioni del trattenimento, e in assenza di accesso a qualsivoglia servizio e tutela legale continuerà inevitabilmente a generare proteste, atti di autolesionismo, incendi.

A front​​​​​​​e di una volontà governativa sempre più manifesta di interrompere i contatti delle persone trattenute con l’esterno, e di ostacolarne l’esercizio dei diritti fondamentali, sembra essenziale continuare a monitorare criticamente questi luoghi che sono sempre stati, di fatto, dei buchi neri e soprattutto far emergere le testimonianze e amplificare le voci delle persone trattenute.

Lottare contro l’invisibilizzazione delle persone trattenute, denunciando sistematicamente la violenza  del regime confinario e le violazioni di diritto che essa genera, è oggi più che mai essenziale.

Gli atti di ribellione che si sono verificati nell’ultimo anno in molti luoghi di confinamento amministrativo, in ultima istanza a Trapani, richiedono più che mai una risposta forte di sostegno anche dall’esterno.

Scrivono le attiviste tunisine, madri e sorelle delle persone disperse o decedute nel Mediterraneo: “alle autorità italiane e ai governi europei chiediamo di assumersi la responsabilità delle violenze verbali e fisiche, delle privazioni della libertà, contro la legge, i diritti, le religioni e l’umanità” e “alle persone solidali domandiamo di restare assieme, accanto a questi giovani che lottano per la libertà!”

Per questo, diverse realtà e soggettività stanno convergendo per formare una rete che possa costruire una narrazione coesa e contraria al silenzio, e ai racconti distorti istituzionali e mainstream.

Le persone che mettono a rischio la propria incolumità per rivendicare la propria libertà non possono ricevere in cambio idranti, manganellate e procedimenti penali.  È il dovere di chi è fuori rispondere a questi scempi con rabbia e indignazione, di amplificare queste rivendicazioni e ribadire ancora una volta che tutti i centri di detenzione amministrativa vanno chiusi, immediatamente.

Si condividono di seguito le voci delle persone trattenute e una ricostruzione dei fatti.