Venezia 76: cosa vedere e cosa evitare per uscirne vivi

Riflessioni semiserie su una line-up robusta. Con qualche perplessità

Chiunque abbia fatto l’esperienza immersiva di un’intera Mostra del Cinema conosce bene la fatica che comporta: le levate antelucane, i panini malmangiati in coda, gli infiniti eventi collaterali, gli incontri di lavoro, la lotta in sala contro le palpebre perennemente in bilico.

E conosce altrettanto bene l’antidoto: rinunciare a vedere tutti i film e decidere di focalizzarsi su quelli che ritiene di maggiore interesse.

Naturalmente non si può perdere il film d’apertura, tanto più se è firmato Kore’eda, che alla sua prima prova non giapponese sfodera un cast impressionante: Deneuve, Binoche, Hawke. Certo, il rimando va alla prima escursione fuori dall’Iran di Farhadi, che con Everybody Knows ha firmato il suo film più debole e meno personale. Speriamo bene.

Sicuramente vedrò con trepidazione Ema di Pablo Larrain, che non ha mai sbagliato un colpo, neppure nell’unica trasferta hollywoodiana (Jackie). Così come non mi lascerò sfuggire gli appena 73 minuti dell’ultimo Roy Andersson.

Per restare al concorso, come perdersi la pattuglia americana? Joker, già in odor di Oscar per l’interpretazione di Joaquin Phoenix? L’ultimo Soderbergh sui Panama Papers? L’attesissimo Ad Astra di James Grey? Il film più ambizioso e personale di Noah Baumbach? No way!

Ma ho già notato che diversi film italiani sono decisamente prescindibili. Perché devo sorbirmi l’ennesimo, immancabile, film di Martone? Ha senso vedere a Venezia le opere nuove di Salvatores e Archibugi? E soprattutto, perché al mondo dovrei sprecare 85 minuti della mia vita grama per vedere Chiara Ferragni – Unposted? Non vedrei un film sulla onnipresente influencer neppure se lo avesse girato Wiseman o Morris.

Del resto Barbera mi ha concesso altre 2 occasioni imperdibili per cenare con calma con una ricca insalata o un costoso branzino lidense: le anteprime di Zerozerozero di Sollima (che eviterò come la peste anche al suo passaggio televisivo) e The New Pope di Sorrentino (che invece vedrò a suo tempo con comodo sul divano).

Non tutti i film italiani sono privi di appeal: sono curioso di riapprezzare l’ironia amara di Maresco e soprattutto la riattualizzazione di Martin Eden di Pietro Marcello, le cui due rigorosissime opere precedenti figurano nei cataloghi dell’Italia che non si vede.

Per non parlare de Il pianeta in mare, doc su Marghera, di un altro regular della nostra rassegna itinerante, Andrea Segre.

Tornando al concorso, un discorso a parte merita Robert Guédiguian: visto che gira un film l’anno, con gli stessi attori (tra cui sua moglie), nella stessa città (Marsiglia), sugli stessi temi, perché non offrirgli una bella serie televisiva e ci togliamo il pensiero?

Altri autori immancabili in competizione: il visionario Ciro Guerra (uno dei possibili outsider del Festival), Olivier Assayas con uno spy-thriller sulla carta intrigante, Roman Polanski sull’affaire Dreyfus. Contiamo anche su un ritorno alla forma di Atom Egoyan, che con Guest of Honour si immerge nei temi intimistici che gli sono più congeniali.

E infine, ma solo perché lo spazio è tiranno, cercherò di vedere quanti più film di Orizzonti: è la sezione più innovativa, ad altissimo tasso di possibili epifanie visive e sorprese linguistiche. Poi ci sarebbero le Giornate degli Autori e la Settimana della Critica e soprattutto la straordinaria selezione di opere in VR, ma, come si diceva, a qualcosa toccherà rinunciare. Peccato.